dipinto di Charles Levier
La ragazza con gli occhi pieni di buio - Nella Nobili
Dove lavoro io, proprio di fronte al mio banco, c’è una
ragazza bruna che non parla mai. E non ride mai.
I brevi faticati sorrisi li fa per convenienza e quando noi ridiamo forte.
Sembra una ragazza tagliata a metà, in lei c’è solo la parte buia.
Ho cercato, abbiamo cercato di indurla un po’ ad aprirsi,
per suo sollievo, ma ormai vi abbiamo rinunciato.
Fredda, severe, sembra macerarsi in uno di quei dolori
Antichi e profondi come il mistero della creazione.
Certamente questo è l’ambiente meno adatto per lei, qui,
dove tutto è semplice, elementare, privo di buio e di fantasia.
E io dispero di poterle recare sollievo
È proprio di fronte al mio banco e un giorno, alzando
casualmente gli occhi dal mio lavoro, ho creduto di vederla,
per un attimo, nuda nel suo sguardo che si credeva isolato.
Un attimo. Ma era primavera.
Non la primavera, veramente, non quella di tutti che viene
regolare e fastosa in maggio, e ancora, in marzo.
La primavera degli anni sensibili, quella primavera che è
più leggera di un sospiro, più chiara dell’acqua.
La primavera dei gatti e delle gazzelle.
La primavera degli adolescenti e dei malati di petto.
Quella primavera che si sente con il palmo della mano dopo
averci stemperata sopra l’anima.
Quella primavera che era ancora indietro, lontana nel
tempo e nella stagione fredda e segreta dell’inverno.
La ragazza dagli occhi pieni di buio aveva sentito questa primavera.
Per un attimo nei suoi occhi, il suo cupo dolore si era
trasformato, come trasfigurato in quella felicità intensa
inesprimibile, in quella pace perfetta che io non credevo
possibile sulla terra.
La chiamai, emozionata, per nome.
Essa mi rispose, pronta e severa come sempre ma già
Lontana, chiusa di nuovo nel buio profondo e distante
Come il mistero della creazione.
Dove lavoro io, proprio di fronte al mio banco, c’è una
ragazza bruna che non parla mai. E non ride mai.
I brevi faticati sorrisi li fa per convenienza e quando noi ridiamo forte.
Sembra una ragazza tagliata a metà, in lei c’è solo la parte buia.
Ho cercato, abbiamo cercato di indurla un po’ ad aprirsi,
per suo sollievo, ma ormai vi abbiamo rinunciato.
Fredda, severe, sembra macerarsi in uno di quei dolori
Antichi e profondi come il mistero della creazione.
Certamente questo è l’ambiente meno adatto per lei, qui,
dove tutto è semplice, elementare, privo di buio e di fantasia.
E io dispero di poterle recare sollievo
È proprio di fronte al mio banco e un giorno, alzando
casualmente gli occhi dal mio lavoro, ho creduto di vederla,
per un attimo, nuda nel suo sguardo che si credeva isolato.
Un attimo. Ma era primavera.
Non la primavera, veramente, non quella di tutti che viene
regolare e fastosa in maggio, e ancora, in marzo.
La primavera degli anni sensibili, quella primavera che è
più leggera di un sospiro, più chiara dell’acqua.
La primavera dei gatti e delle gazzelle.
La primavera degli adolescenti e dei malati di petto.
Quella primavera che si sente con il palmo della mano dopo
averci stemperata sopra l’anima.
Quella primavera che era ancora indietro, lontana nel
tempo e nella stagione fredda e segreta dell’inverno.
La ragazza dagli occhi pieni di buio aveva sentito questa primavera.
Per un attimo nei suoi occhi, il suo cupo dolore si era
trasformato, come trasfigurato in quella felicità intensa
inesprimibile, in quella pace perfetta che io non credevo
possibile sulla terra.
La chiamai, emozionata, per nome.
Essa mi rispose, pronta e severa come sempre ma già
Lontana, chiusa di nuovo nel buio profondo e distante
Come il mistero della creazione.
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