Vittorio Corona - Treno, stazione, olio su tavola (1921)
Da “Piena estate”, XLI – Derek WalcottI campi si tengono a distanza – castagni bruni e fumo grigio
che s’attorciglia come fili spinato. Il profitto sulla colpa continua.
Piccioni avanzano al passo dell’oca, scoiattoli impilano ghiande
come fossero scarpine, e il musco, afono come fumo, soffoca
i corpi nudi come legna abbandonata. In stagni limpidi,
trote grasse che abboccano all’esca boccheggiano in Umlaut.
Quarant’anni fa, nella mia infanzia isolana, sentii
che il dono della poesia mi aveva posto fra gli eletti,
che ogni esperienza s’incendiava al fuoco della Musa.
Ora la vedo seduta in autunno su quella panca di pino,
il loro ideale color nocciola, le trecce bionde e i Lederhosen,
le gocce di sangue di papaveri ricamati sul corpetto,
lo spirito dell’autunno per ogni Hans e Fritz
che rastrellava i campi con lo sguardo quando i gridi fumosi
dei corvi erano quasi umani. Deposero la loro causa
nella sua serica corona di grano, nella sua iride di fiordaliso,
vagliatrice di pula per cui le svastiche scintillano
in messi scheletriche. Ma se avessi saputo allora
che le fronde della mia isola erano erpici, la sua sabbia la cenere
di campi distanti, avrei spezzato la mia penna
perché le ecloghe di questo secolo venivano scrittr
dai camini di Dachau, di Auschwitz, di Sachsenhausen?
da Derek Walcott, Nelle vene del mare, a cura di Matteo Campagnoli
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti
Nessun commento:
Posta un commento