dipinto di Vanessa Bell
L’assaggiatrice –
Giuseppina Torregrossa
Divido l’impasto in
tanti bastoncini piccoli e tozzi, li arrotolo bene bene e lo osservo, poi mi
guardo le mani e Hamed mi sorride, sa bene che dopo sarà il suo turno. Ne
faccio pochi, lascio perdere il resto della pasta, non voglio farlo aspettare
troppo. L’amore ha bisogno di attese brevi per aumentare il desiderio; le pause
troppo lunghe facilmente provocano l’effetto contrario.
Scaldo l’olio e
comincio a friggere. In un pentolino metto il miele, mezzo bicchiere d’acqua,
la buccia grattugiata di un limone. Ottengo uno sciroppo liquido liquido e
aromatico. Ungo i bastoncini in quel sugo appiccicoso. Li poso poi su un piatto
colorato di ceramica, verde e giallo. Zucchero a velo e polvere di cannella.
Hamed sospira e io insieme a lui.
Sciacquo le mani
nell’acqua fresca e me le asciugo sulla gonna. Faccio un passo indietro e
appoggio la mia schiena contro il suo petto, il suo respiro è sul mio collo, la
sua faccia affonda nei miei capelli. Senza voltarmi gli parlo, lenta, calma,
con una voce monotona e roca che non riesce a nascondere il desiderio che ho di
lui.
«Questa mattina
presto, mentre ero ancora a letto, ti ho pensato a lungo e sembra quasi che tu
abbia sentito il mio richiamo», gli dico. Faccio una pausa per vedere come
reagisce. Può essere che si secca di parlare e se ne va lasciandomi a bocca
asciutta? Certo è che una volta presa la strada, poi è difficile tornare
indietro. Perciò continuo e corro il rischio di scontentarlo. «Hamed, questo
amore che facciamo come gli animali mi piace assai, ma non può durare sempre
così. Voglio sentire il suono della tua voce, voglio sapere chi sei, da dove vieni,
cosa ti piace, i tuoi sogni, le tue illusioni; e se non basto io, questo
passito ti farà sciogliere».
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