Maurits Cornelis Escher, Corte Corsica
da “Le città invisibili” – Italo Calvino
Dall’alta balaustra della reggia il Gran Kan guarda crescere l’impero.
Prima era stata la linea dei confini a dilatarsi inglobando i territori
conquistati, ma l’avanzata dei reggimenti incontrava plaghe semideserte,
stentati villaggi di capanne, acquitrini dove attecchiva male il riso,
popolazioni magre, fiumi in secca, canne. “È tempo che il mio impero, già
troppo cresciuto verso il fuori, – pensava il Kan, – cominci a crescere
al di dentro”, e sognava boschi di melegranate mature che spaccano la
scorza, zebú rosolati allo spiedo e gocciolanti lardo, vene metallifere
che sgorgano in frane di pepite luccicanti.
Ora molte stagioni d’abbondanza hanno colmato i granai. I fiumi in piena hanno trascinato foreste di travi destinate a sostenere tetti di bronzo di templi e palazzi. Carovane di schiavi hanno spostato montagne di marmo serpentino attraverso il continente. Il Gran Kan contempla un impero ricoperto di città che pesano sulla terra e sugli uomini, stipato di ricchezze e d’ingorghi, stracarico d’ornamenti e d’incombenze, complicato di meccanismi e
di gerarchie, gonfio, teso, greve.
Ora molte stagioni d’abbondanza hanno colmato i granai. I fiumi in piena hanno trascinato foreste di travi destinate a sostenere tetti di bronzo di templi e palazzi. Carovane di schiavi hanno spostato montagne di marmo serpentino attraverso il continente. Il Gran Kan contempla un impero ricoperto di città che pesano sulla terra e sugli uomini, stipato di ricchezze e d’ingorghi, stracarico d’ornamenti e d’incombenze, complicato di meccanismi e
di gerarchie, gonfio, teso, greve.
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