Felice Casorati - Il sogno del melograno, 1912 (olio su tela)
Rifugio verde - Ernesto Ragazzoni
Una profondità tremula e verde
ove lo sguardo non iscorge rostro
di pruno, e il piè tra i cespi alti si perde,
(e, nel piú folto, un rudere di chiostro
con un nido di rondini al verone,
e dentro, un altro dolce nido, il nostro),
qualcosa come l'abitazïone
d'una Bella nel Bosco, od il rifugio
di qualche antico frate un po' stregone.
Vuoi che sia qui? A bere olezzi, indugio
qui non vi fan che l'aure, e il sole a pena
qua e là, tra fronda e fronda, apre un pertugio
Ed è come un albor di luna piena
per le colonne d'una cattedrale;
una luce in sordina, ove sua lena
perde ogni tinta, e par quasi d'opale.
La foresta del «Sogno d'una notte
d'estate» mai spirò fascino uguale.
Soli, al rezzo degli alberi, con frotte
d'augelli amici ai nostri piè, i signori
noi sarem qui dei fonti e delle grotte;
i compagni degli Elfi sognatori
rannicchiati nei fràssini, e dei gnomi
che sanno tutte le virtú dei fiori,
e gli arcani dell'erbe e i loro nomi,
e sbucano qua e là – di sotto ai tronchi –
per fare capitomboli e còr pomi.
Oberon sarà presso, ed i carbonchi
che l'aura stessa muterà in sciami
di lucciole, la sera, lungo i ronchi.
Puck e Titania, d'esili ricami
fatti d'aure e di luna, orneran l'ombra
e Sigfrid l'empirà dei suoi richiami.
Cosí che poi, dalla sua strada ingombra
di tenebre, il solingo viatore
(che trasale ad ogni albero e s'adombra
udendo intorno insolito clamore
e vedendo brillare tra le foglie
lungi, la nostra lampada d'amore)
crederà di trovarsi sulla soglia
di qualche Eden ignoto, almo ritiro.
E come chi ad un fascino si toglie
non si dilungherà senza un sospiro.
ove lo sguardo non iscorge rostro
di pruno, e il piè tra i cespi alti si perde,
(e, nel piú folto, un rudere di chiostro
con un nido di rondini al verone,
e dentro, un altro dolce nido, il nostro),
qualcosa come l'abitazïone
d'una Bella nel Bosco, od il rifugio
di qualche antico frate un po' stregone.
Vuoi che sia qui? A bere olezzi, indugio
qui non vi fan che l'aure, e il sole a pena
qua e là, tra fronda e fronda, apre un pertugio
Ed è come un albor di luna piena
per le colonne d'una cattedrale;
una luce in sordina, ove sua lena
perde ogni tinta, e par quasi d'opale.
La foresta del «Sogno d'una notte
d'estate» mai spirò fascino uguale.
Soli, al rezzo degli alberi, con frotte
d'augelli amici ai nostri piè, i signori
noi sarem qui dei fonti e delle grotte;
i compagni degli Elfi sognatori
rannicchiati nei fràssini, e dei gnomi
che sanno tutte le virtú dei fiori,
e gli arcani dell'erbe e i loro nomi,
e sbucano qua e là – di sotto ai tronchi –
per fare capitomboli e còr pomi.
Oberon sarà presso, ed i carbonchi
che l'aura stessa muterà in sciami
di lucciole, la sera, lungo i ronchi.
Puck e Titania, d'esili ricami
fatti d'aure e di luna, orneran l'ombra
e Sigfrid l'empirà dei suoi richiami.
Cosí che poi, dalla sua strada ingombra
di tenebre, il solingo viatore
(che trasale ad ogni albero e s'adombra
udendo intorno insolito clamore
e vedendo brillare tra le foglie
lungi, la nostra lampada d'amore)
crederà di trovarsi sulla soglia
di qualche Eden ignoto, almo ritiro.
E come chi ad un fascino si toglie
non si dilungherà senza un sospiro.
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