Kazimir Malevich - Bureau and Room
da “Romanzo teatrale” - Michail Bulgakov
(…)
All’improvviso si fece buio, le stufe olandesi persero la loro pingue, biancastra lucentezza, piombò di colpo l’oscurità e dietro le finestre cominciò a tuonare un secondo temporale. Bussai alla porta, entrai e nella luce del crepuscolo vidi finalmente Ksaverij Borisovič.
«Maksudov», dissi con dignità.
In quel momento, da qualche parte lontano da Mosca un fulmine squarciò il cielo, illuminando per un attimo Il’čin di luce fosforescente.
«Ah, è lei, stimatissimo Sergej Leont’evič», disse Il’čin con un sorriso scaltro.
E, prendendomi per la vita, mi trascinò verso un divano identico a quello che avevo nella mia stanza - perfino la molla sporgeva nello stesso punto, al centro.
Tutto sommato, ancora oggi non so il significato di quella stanza, dove avvenne il fatale incontro. Perché quel divano? Cos’erano quegli spartiti sgualciti per terra in un angolo? Perché sulla finestra c’era una bilancia a piatti? Perché Il’čin mi stava aspettando in quella stanza e non, ad esempio, nella sala accanto dove, nella penombra del temporale, s’i intravedevano in lontananza i contorni di un pianoforte?
Nel brontolìo del tuono Ksaverij Borisovič proferì sinistramente: «Ho letto il suo romanzo».
Sussultai.
Il fatto è che…
(…)
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All’improvviso si fece buio, le stufe olandesi persero la loro pingue, biancastra lucentezza, piombò di colpo l’oscurità e dietro le finestre cominciò a tuonare un secondo temporale. Bussai alla porta, entrai e nella luce del crepuscolo vidi finalmente Ksaverij Borisovič.
«Maksudov», dissi con dignità.
In quel momento, da qualche parte lontano da Mosca un fulmine squarciò il cielo, illuminando per un attimo Il’čin di luce fosforescente.
«Ah, è lei, stimatissimo Sergej Leont’evič», disse Il’čin con un sorriso scaltro.
E, prendendomi per la vita, mi trascinò verso un divano identico a quello che avevo nella mia stanza - perfino la molla sporgeva nello stesso punto, al centro.
Tutto sommato, ancora oggi non so il significato di quella stanza, dove avvenne il fatale incontro. Perché quel divano? Cos’erano quegli spartiti sgualciti per terra in un angolo? Perché sulla finestra c’era una bilancia a piatti? Perché Il’čin mi stava aspettando in quella stanza e non, ad esempio, nella sala accanto dove, nella penombra del temporale, s’i intravedevano in lontananza i contorni di un pianoforte?
Nel brontolìo del tuono Ksaverij Borisovič proferì sinistramente: «Ho letto il suo romanzo».
Sussultai.
Il fatto è che…
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