Salvatore Mangione (Salvo) -Paesaggio, 1988, olio su tela, cm 200x150
Costa San Giorgio - Eugenio Montale Un fuoco fatuo impolvera la strada.
Il gasista si cala giù e pedala
rapido con la scala su la spalla.
Risponde un’altra luce e l’ombra attorno
sfarfalla, poi ricade.
Lo so, non s’apre il cerchio
e tutto scende o rapido s’inerpica
tra gli archi. I lunghi mesi
son fuggiti così: ci resta un gelo
fosforico d’insetto nei cunicoli
e un velo scialbo sulla luna.
Un dì
brillava sui cammini del prodigio
El Dorado, e fu lutto fra i tuoi padri.
Ora l’Idolo è qui, sbarrato. Tende
le sue braccia fra i càrpini: l’oscuro
ne scancella lo sguardo. Senza voce,
disfatto dall’arsura, quasi esanime,
l’Idolo è in croce.
La sua presenza si diffonde grave.
Nulla ritorna, tutto non veduto
si riforma nel magico falò.
Non c’è respiro; nulla vale: più
non distacca per noi dall’architrave
della stalla il suo lume, Maritornes.
Tutto è uguale; non ridere: lo so,
lo stridere degli anni fin dal primo,
lamentoso, sui cardini, il mattino
un limbo sulla stupida discesa –
e in fondo il torchio del nemico muto
che preme...
Se una pendola rintocca
dal chiuso porta il tonfo del fantoccio
ch’è abbattuto
Nessun commento:
Posta un commento