opera di Eva Fisher
Un amore – Dino Buzzati
Ma soprattutto a proposito della Scala Laide era elusiva. Per il desiderio di essere stimato da lei, di stabilire una specie di legame professionale, Antonio le disse che proprio in quei giorni preparava scene e costumi per un balletto di Lachenard, L’étoile du soir. Ci sarebbe stata anche lei? Oh certo, ma a lei quel balletto non piaceva. «Ma ieri per esempio alla prova c’eri?» «Ieri no, ieri avevo un po’ di febbre.»
In quanto al cognome poi, non ci fu assolutamente il verso di saperlo.
«Tanto, non ci possiamo vedere lo stesso?»
«Ma hai paura di cosa?»
«Niente, io sono fatta così, meno cose si fa sapere meglio è.»
«Non ti fidi, allora.»
«Cosa significa? Il mio nome non lo faccio sapere a nessuno.»
«Il numero di telefono me lo potrai dare, almeno.»
«Quello, figurarsi, quello non lo sa proprio nessunissimo. Guai se chiamano a casa cercando di me, mia sorella fa uno di quei ciocchi.»
«E la Ermelina, allora, come fa a chiamarti?»
«Sono io che le telefono. Ogni tanto la chiamo io.»
«Per sapere se c’è qualche cosa di nuovo?»
«Oppure mi telefona lei dopo mezzanotte al Due.»
«La balera?»
«Sì.»
«Come? ci vai tutte le sere?»
«Tutte le sere no. Quando ci vado faccio un numero.»
«Un numero di che cosa?»
«Uno slow.»
«E sei vestita come?»
«Oh, tutta coperta, in calzamaglia.»
C’era stato un paio di volte, Dorigo, al Due, con degli amici. L’avevano chiamato così per allusione al Carcere di San Vittore denominato popolarmente “El do” perché l’ingresso porta il numero 2. Era in centro, nel sotterraneo di un bar: una di quelle sale da ballo cosiddette esistenzialiste, decorate con stramberie macabre o astratte un po’ di gusto goliardico. Ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, si esibivano in frenetici boogie-woogie e rockand- roll di genere acrobatico. Un posto nel complesso abbastanza allegro e simpatico, più sportivo, in certo senso, che peccaminoso. Ma era sotterraneo, e la scaletta angusta per discendervi, le scritte impertinenti e a doppio senso, la soperchieria sia pure ingenua dei dipinti murali, un certo surrealismo alla francese provvedevano quel tanto di losco e di malavita che affascinava le signore borghesi. Non c’erano entraîneuses. Ma certo le ninfette dei “numeri” non dovevano essere delle novizie di convento. Il semplice fatto di lasciarsi maneggiare, per le piroette e i salti mortali, in tutte le parti possibili del corpo.
Ma soprattutto a proposito della Scala Laide era elusiva. Per il desiderio di essere stimato da lei, di stabilire una specie di legame professionale, Antonio le disse che proprio in quei giorni preparava scene e costumi per un balletto di Lachenard, L’étoile du soir. Ci sarebbe stata anche lei? Oh certo, ma a lei quel balletto non piaceva. «Ma ieri per esempio alla prova c’eri?» «Ieri no, ieri avevo un po’ di febbre.»
In quanto al cognome poi, non ci fu assolutamente il verso di saperlo.
«Tanto, non ci possiamo vedere lo stesso?»
«Ma hai paura di cosa?»
«Niente, io sono fatta così, meno cose si fa sapere meglio è.»
«Non ti fidi, allora.»
«Cosa significa? Il mio nome non lo faccio sapere a nessuno.»
«Il numero di telefono me lo potrai dare, almeno.»
«Quello, figurarsi, quello non lo sa proprio nessunissimo. Guai se chiamano a casa cercando di me, mia sorella fa uno di quei ciocchi.»
«E la Ermelina, allora, come fa a chiamarti?»
«Sono io che le telefono. Ogni tanto la chiamo io.»
«Per sapere se c’è qualche cosa di nuovo?»
«Oppure mi telefona lei dopo mezzanotte al Due.»
«La balera?»
«Sì.»
«Come? ci vai tutte le sere?»
«Tutte le sere no. Quando ci vado faccio un numero.»
«Un numero di che cosa?»
«Uno slow.»
«E sei vestita come?»
«Oh, tutta coperta, in calzamaglia.»
C’era stato un paio di volte, Dorigo, al Due, con degli amici. L’avevano chiamato così per allusione al Carcere di San Vittore denominato popolarmente “El do” perché l’ingresso porta il numero 2. Era in centro, nel sotterraneo di un bar: una di quelle sale da ballo cosiddette esistenzialiste, decorate con stramberie macabre o astratte un po’ di gusto goliardico. Ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, si esibivano in frenetici boogie-woogie e rockand- roll di genere acrobatico. Un posto nel complesso abbastanza allegro e simpatico, più sportivo, in certo senso, che peccaminoso. Ma era sotterraneo, e la scaletta angusta per discendervi, le scritte impertinenti e a doppio senso, la soperchieria sia pure ingenua dei dipinti murali, un certo surrealismo alla francese provvedevano quel tanto di losco e di malavita che affascinava le signore borghesi. Non c’erano entraîneuses. Ma certo le ninfette dei “numeri” non dovevano essere delle novizie di convento. Il semplice fatto di lasciarsi maneggiare, per le piroette e i salti mortali, in tutte le parti possibili del corpo.
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