Albert Beck Wenzell - Conversazione
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa118.
Quella malizia incerta e quasi imponderabile che rallegra ogni
cuore umano di fronte al dolore e allo sconforto altrui, io la impiego
nell’esame dei miei stessi dolori. Mi spingo così in avanti, che nelle
occasioni in cui mi sento ridicolo o meschino, ne godo come se fosse
un’altra persona a sentirsi tale. Per una strana e fantastica trasformazione
di sentimenti succede che io non provi quella allegria maliziosa e
umanissima di fronte al dolore e al ridicolo altrui. Di fronte
all’avvilimento degli altri non provo dolore, ma sconforto estetico ed
una insinuante irritazione. Non è per bontà che questo accade, ma perché
chi diventa ridicolo non lo diventa soltanto per me, ma anche per gli
altri e mi irrita che qualcuno per gli altri sia ridicolo, mi addolora
che un animale qualsiasi della specie umana rida alle spalle dell’altro,
quando non ha diritto a farlo. Che gli altri ridano alle mie spalle non
mi importa, perché a partire da me, esiste un disprezzo proficuo e
blindato. Più terrificante di qualsiasi muro, ho collocato delle sbarre
altissime a delimitare il giardino del mio essere, in modo che, vedendo
perfettamente gli altri, io li escluda e li conservi altri in modo
perfetto. Scegliere i modi per non agire è stato sempre un attento
scrupolo della mia vita. Non mi sottometto allo Stato e neanche agli
uomini; resisto con l’inerzia. Lo stato mi può volere solo per una
azione. Se non agisco, esso da me non ottiene nulla. Oggi che non si
condanna più a morte, mi può solo creare dei fastidi. Se ciò dovesse
succedere, dovrò blindare meglio il mio spirito e vivere più distante
dentro i miei sogni. Ma questo non è mai successo. Lo Stato non mi ha
mai importunato. Credo che la fortuna abbia saputo provvedere.
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