opera di Wassily Kandinsky
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa
114. La maggior parte delle persone si ammala per non saper dire cosa vede e cosa pensa. Dicono che non vi sia niente di più difficile che definire con le parole una spirale: è necessario, affermano, fare in aria, con la mano senza letteratura, il gesto, ascendentemente e regolarmente attorcigliato, con cui quella figura astratta delle molle o di certe scale si manifesta agli occhi. Ma, se teniamo presente che dire è rinnovare, definiremo senza difficoltà una spirale: essa è un cerchio che sale senza riuscire mai a finire. So bene che la maggior parte delle persone, non oserebbe definirla così, perché pensa che definire sia dire quello che gli altri vogliono che si dica, che non è quello che è necessario dire per definire. Mi spiego meglio: una spirale è un cerchio virtuale che si snoda, salendo in alto senza realizzarsi mai. Ma no, la definizione è ancora astratta. Ne cercherò una concreta e il tutto verrà visto: una spirale è un serpente senza serpente attorcigliato verticalmente su nessuna cosa. Tutta la letteratura consiste nello sforzo di rendere reale la vita. Come tutti sanno, anche quando agiscono senza saperlo, la vita è assolutamente irreale, nella sua realtà diretta; i campi, le città, le idee, sono cose assolutamente fittizie, figlie della nostra complessa sensazione di noi stessi. Le impressioni sono tutte intrasmissibili se non le rendiamo letterarie. I bambini sono molto letterari perché si esprimono come sentono e non come deve sentire chi sente come se fosse un’altra persona. Un bambino che ho sentito una volta, volendo dire che stava per piangere, non ha detto «Ho voglia di piangere», che è come si esprimerebbe un adulto, cioè uno stupido, ma «Ho voglia di lacrime». E questa frase, assolutamente letteraria, al punto da sembrare affettata in un poeta celebre, se la potesse dire, riferisce definitivamente la calda presenza delle lacrime che sgorgano dalle palpebre coscienti dell’amarezza liquida. «Ho voglia di lacrime»! Quel piccolo bambino ha definito bene la sua spirale. Dire! Saper dire! Saper esistere attraverso la voce scritta e l’immagine intellettuale! Tutto questo è quanto vale la vita: il resto sono gli uomini e le donne, amori immaginati e vanità fittizie, sotterfugi della digestione e dell’oblio, persone che si dimenano, come animaletti, quando si solleva una pietra, sotto il grande macigno astratto del cielo azzurro senza senso.
114. La maggior parte delle persone si ammala per non saper dire cosa vede e cosa pensa. Dicono che non vi sia niente di più difficile che definire con le parole una spirale: è necessario, affermano, fare in aria, con la mano senza letteratura, il gesto, ascendentemente e regolarmente attorcigliato, con cui quella figura astratta delle molle o di certe scale si manifesta agli occhi. Ma, se teniamo presente che dire è rinnovare, definiremo senza difficoltà una spirale: essa è un cerchio che sale senza riuscire mai a finire. So bene che la maggior parte delle persone, non oserebbe definirla così, perché pensa che definire sia dire quello che gli altri vogliono che si dica, che non è quello che è necessario dire per definire. Mi spiego meglio: una spirale è un cerchio virtuale che si snoda, salendo in alto senza realizzarsi mai. Ma no, la definizione è ancora astratta. Ne cercherò una concreta e il tutto verrà visto: una spirale è un serpente senza serpente attorcigliato verticalmente su nessuna cosa. Tutta la letteratura consiste nello sforzo di rendere reale la vita. Come tutti sanno, anche quando agiscono senza saperlo, la vita è assolutamente irreale, nella sua realtà diretta; i campi, le città, le idee, sono cose assolutamente fittizie, figlie della nostra complessa sensazione di noi stessi. Le impressioni sono tutte intrasmissibili se non le rendiamo letterarie. I bambini sono molto letterari perché si esprimono come sentono e non come deve sentire chi sente come se fosse un’altra persona. Un bambino che ho sentito una volta, volendo dire che stava per piangere, non ha detto «Ho voglia di piangere», che è come si esprimerebbe un adulto, cioè uno stupido, ma «Ho voglia di lacrime». E questa frase, assolutamente letteraria, al punto da sembrare affettata in un poeta celebre, se la potesse dire, riferisce definitivamente la calda presenza delle lacrime che sgorgano dalle palpebre coscienti dell’amarezza liquida. «Ho voglia di lacrime»! Quel piccolo bambino ha definito bene la sua spirale. Dire! Saper dire! Saper esistere attraverso la voce scritta e l’immagine intellettuale! Tutto questo è quanto vale la vita: il resto sono gli uomini e le donne, amori immaginati e vanità fittizie, sotterfugi della digestione e dell’oblio, persone che si dimenano, come animaletti, quando si solleva una pietra, sotto il grande macigno astratto del cielo azzurro senza senso.
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