dipinto di Iain Faulkner
da Un amore – Dino Buzzati
Era una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse. Oppure semplicemente caligine uscita dai camini, dagli sfiatatoi delle caldaie a nafta, dalle ciminiere delle raffinerie Coloradi, dai camion ruggenti, dalle fogne, dai cumuli di detriti immondi rovesciati sulle aree fabbricabili della periferia, dalla trachea dei milioni e
milioni – erano tanti? – assembrati fra cemento, asfalto e rabbia intorno a lui.
Accese la terza sigaretta, erano le dieci e tre quarti («Sono Tonino, buongiorno sign…» «È lei? Quanto tempo che…») sul muro di fronte a lui l’orologio elettrico fornito dal complesso condominiale, ogni tanto un fievole brandello di musica, di là, nella stanza accanto, la signorina Maria Torri teneva accesa sul tavolo, nella borsetta, in grembo, la radiolina giapponese, senza una tregua mai anche durante le discussioni e Dorigo non aveva avuto il coraggio di proibirgliela, in fondo se la sarebbe tenuta volentieri una anche lui, ne aveva anzi comperata una di contrabbando, tascabile, per diecimila lire, nei negozi del centro le vendevano a ventiquattro-venticinquemi la,
ma dopo neanche un paio di giorni la Giorgina gliela aveva soffiata,
mica che la Giorgina lo entusiasmasse ma si conoscevano da tanto tempo,
lui l’aveva incontrata sotto i portici del Corso mentre dalla tasca del
paltò gli usciva un piccolo valzer viennese proprio quelli che lui non
poteva soffrire, ma per pigrizia non aveva spento e allora lei aveva
detto «Fammi vedere, che bello, me lo regali?». Che gliene fregava in
fondo a lui della radiolina?
Accese la quarta sigaretta, ci sarebbe stato da finire un lavoro ma non ne aveva la minima voglia, dopo tutto non c’era urgenza bastava presentarlo sabato e si era appena a martedì, poi quando gli veniva la voglia di fare l’amore lavorare era molto difficile non che Dorigo fosse un tipo molto sensuale e carico di virilità eppure ogni tanto all’improvviso senza apparenti motivi l’immaginazione si metteva a lavorare e tutto il corso dei pensieri cambiava completamente.
Era una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse. Oppure semplicemente caligine uscita dai camini, dagli sfiatatoi delle caldaie a nafta, dalle ciminiere delle raffinerie Coloradi, dai camion ruggenti, dalle fogne, dai cumuli di detriti immondi rovesciati sulle aree fabbricabili della periferia, dalla trachea dei milioni e
milioni – erano tanti? – assembrati fra cemento, asfalto e rabbia intorno a lui.
Accese la terza sigaretta, erano le dieci e tre quarti («Sono Tonino, buongiorno sign…» «È lei? Quanto tempo che…») sul muro di fronte a lui l’orologio elettrico fornito dal complesso condominiale, ogni tanto un fievole brandello di musica, di là, nella stanza accanto, la signorina Maria Torri teneva accesa sul tavolo, nella borsetta, in grembo, la radiolina giapponese, senza una tregua mai anche durante le discussioni e Dorigo non aveva avuto il coraggio di proibirgliela, in fondo se la sarebbe tenuta volentieri una anche lui, ne aveva anzi comperata una di contrabbando, tascabile, per diecimila lire, nei negozi del centro le vendevano a ventiquattro-venticinquemi
Accese la quarta sigaretta, ci sarebbe stato da finire un lavoro ma non ne aveva la minima voglia, dopo tutto non c’era urgenza bastava presentarlo sabato e si era appena a martedì, poi quando gli veniva la voglia di fare l’amore lavorare era molto difficile non che Dorigo fosse un tipo molto sensuale e carico di virilità eppure ogni tanto all’improvviso senza apparenti motivi l’immaginazione si metteva a lavorare e tutto il corso dei pensieri cambiava completamente.
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