fotogramma di "Gilda"
Sonetto I - Louise Labè
Non havria Ulisse o qualunqu’altro mai
Piu accorto fù, da quel divino aspetto,
Pien di gratie, d’honor et di rispetto,
Sperato qual i sento affanni et guai.
Pur, Amor, co’i begli occhi tu fatt’hai
Tal piagia dentro al moi innocente petto,
Di cibo et di calor già tuo ricetto,
Che rimedio non vè si tu nol’ dai.
Sorte dura, che mi fa esser quale
Punta d’un Scorpio, et domandar riparo
Contr’ el velen’ dall istesso animale.
Chieggio ti sol’ ancida questa noia,
Non estingua el desir a me si caro,
Che mancar non potria ch’i non mi muoia.
Non havria Ulisse o qualunqu’altro mai
Piu accorto fù, da quel divino aspetto,
Pien di gratie, d’honor et di rispetto,
Sperato qual i sento affanni et guai.
Pur, Amor, co’i begli occhi tu fatt’hai
Tal piagia dentro al moi innocente petto,
Di cibo et di calor già tuo ricetto,
Che rimedio non vè si tu nol’ dai.
Sorte dura, che mi fa esser quale
Punta d’un Scorpio, et domandar riparo
Contr’ el velen’ dall istesso animale.
Chieggio ti sol’ ancida questa noia,
Non estingua el desir a me si caro,
Che mancar non potria ch’i non mi muoia.
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