opera di Mario Tozzi
L’assaggiatrice – Giuseppina Torregrossa
Hamed smette di trafficare
attorno al mio corpo, benevolo mi accontenta e sorridendo comincia a parlare.
Con molta lentezza, cercando le parole nella sua testa, scegliendole un’a una,
traducendole da quelle antiche del suo paese alle mie: «Non c’è mistero, sei
bella e mi ha preso una voglia di te che mi fa male al cuore, ma ti parlo di
me, se è quello che vuoi», la sua voce è una corda che vibra, che mi avvolge,
mi lega, mi trattiene, mi soggioga. «Dopo però facciamo l’amore, in silenzio,
con il corpo, con gli occhi, o parliamo ancora se ti piace di più, e la mia
voce sarà un canto che ti aprirà il cuore».
Mi trastullo,
indecisa tra passione e tenerezza. Detesto spezzare l’incanto del suo
abbraccio, ruvido e morbido insieme, ma la mia curiosità oggi è peggio di una
zanzara a primavera. Assaggio la pignoccata, così, tanto per fare una cosa.
Buona.
«Aspetta un momento»,
dico a Hamed accarezzandogli le labbra con un dito.
Metto in bocca un
altro pezzetto, lo mastico un po’ e poi glielo passo senza troppi convenevoli;
lui sembra gradire, mi lecca le dita piene di miele e farina, una per una,
nessuna fretta nei suoi gesti, ieratico, un sacerdote dell’amore. Accendo la
radio, la musica si spande come in una chiesa. La Passione secondo Matteo, Bach,
esalta la sacralità del momento. Finalmente mi è chiaro che il sesso non
può essere uno strumento del diavolo come dice don Antonio, ma una delle
tante vie che mi riconducono al tutto di cui faccio parte.
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