dipinto di Rae Perry
da Un amore – Dino BuzzatiUn mattino del febbraio 1960, a Milano, l’architetto Antonio Dorigo, di 49 anni, telefonò alla signora Ermelina.
«Sono Tonino, buongiorno sign…»
«È lei? Quanto tempo che non si fa vedere. Come sta?»
«Non c’è male, grazie. Sa in questi ultimi tempi un mucchio di lavoro e così… senta potrei venire questo pomeriggio?»
«Questo pomeriggio? Mi faccia pensare… a che ora?»
«Non so. Alle tre, tre e mezza.»
«Tre e mezza d’accordo.»
«Ah senta, signora…»
«Dica, dica.»
«L’ultima volta, si ricorda?… insomma quella stoffa per essere sincero non mi finiva di piacere, vorrei…»
«Capisco. Purtroppo alle volte io stessa…»
«Qualcosa di più moderno, mi spiego?»
«Sì, sì. Ma guardi ha fatto bene a telefonarmi oggi, c’è un’occasione… insomma vedrà che resterà soddisfatto.»
«Tessuto nero, preferibile.»
«Nero, nero, lo so, come il carbone.»
«Grazie, a più tardi allora.»
Mise giù la cornetta. Era solo nello studio. Anche Gaetano Maronni, il collega che occupava la stanza vicina, quel mattino era uscito.
Era una mattina qualsiasi di una giornata qualsiasi. Il lavoro procedeva bene. Dalla grande finestra dell’ottavo piano si vedeva la casa di fronte, una casa moderna uguale alle case intorno, uguale alla casa dove Dorigo si trovava. Abbastanza allegra, tuttavia, in via Moscova, vasto complesso condominiale intersecato da viali-giardino dove potevano parcare le automobili.
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