Peter Paul Rubens - Achille trafigge Ettore
Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Andromaca
(…)
Achille lo guardò con odio. "Ettore, dannato, non farò
patti con te. Non fanno patti uomini e leoni, lupi e agnelli: la loro discordia
è per sempre. Pensa piuttosto a combattere. E arrivato il momento di dimostrare
se davvero sei il guerriero che credi. "Poi alzò la lancia, facendola
oscillare nell'aria, e la scagliò con forza terribile. Ettore la vide arrivare,
veloce si piegò da un lato, la punta di bronzo volò oltre le sue spalle, e andò
a piantarsi nella terra. Allora non era vero che gli dei avevano già deciso
tutto, e che già era scritto il nome del vincitore! Ettore strinse la sua
lancia, la alzò sul capo, e la scagliò. La punta di bronzo centrò in pieno lo
scudo
di Achille, ma quello era uno scudo divino, nulla avrebbe
potuto schiantarlo, la punta di bronzo si conficcò proprio nel centro, ma lì si
fermò. Ettore la guardò smarrito, e si voltò per chiedere a Deifobo un'altra
lancia, con cui continuare a combattere. Si voltò, ma Deifobo non era più lì.
Se n'era scappato dentro la città, la paura alla fine se l'era portato via.
Allora Ettore capì che il suo destino l'aveva alla fine raggiunto. E poiché era
un eroe, estrasse la spada, per morire combattendo, per morire in un modo che
tutti gli uomini a venire avrebbero per sempre raccontato. Prese lo slancio,
come un'aquila avida di piombare sulla preda. Di fronte a lui Achille si
raccolse nello splendore delle sue armi. Si balzarono addosso, come due leoni.
La punta di bronzo della lancia di Achille avanzava come avanza brillando la
stella della sera nel cielo notturno. Cercava un punto scoperto tra le armi di
Ettore, le armi che un giorno erano state di Achille, e poi di Patroclo.
Cercava tra il bronzo la fessura per arrivare alla carne e alla vita. La trovò
nel punto in cui il collo si appoggiava alla spalla, il tenero collo del mio
amato: penetrò nella gola e la trapassò da parte a parte. Cadde nella polvere,
Ettore. Guardò Achille e con l'ultimo soffio di vita gli disse: "Ti
supplico, non abbandonarmi ai cani, restituisci il mio corpo a mio padre".
Ma duro oltre ogni speranza era il cuore di Achille. "Non supplicarmi,
Ettore. Troppo è il male che mi hai fatto, è già tanto che non ti faccia a
pezzi e non ti sbrani io stesso. Patroclo, lui sì, avrà tutti gli onori funebri
che merita. Tu meriti che i cani e gli uccelli ti divorino, lontano dal tuo
letto, e dalle lacrime di chi ti ha amato." Ettore chiuse gli occhi, e la
morte lo avvolse. Volò via, l'anima, verso l'Ade, piangendo il suo destino, e
la forza e la giovinezza perdute.
Achille estrasse la lancia dal corpo di Ettore. Poi si
chinò a sfilargli le armi. Tutti gli Achei corsero a guardare, da vicino. Per
la prima volta vedevano quel corpo nudo, senza armi. Erano ammirati per la sua
bellezza, eppure non uno resistette alla tentazione di colpirlo, con la spada,
con la lancia. Ridevano. "Certo è molto più morbido adesso, Ettore, di
quando dava fuoco alle nostre navi." Ridevano e lo colpivano. Finché
Achille non li fece smettere. Si chinò su Ettore, e con un coltello forò le sue
caviglie, proprio sotto il malleolo. Dal foro fece passare delle cinghie di cuoio
e le annodò saldamente al suo carro. Fece in modo che il corpo penzolasse, con
la testa tra la polvere. Poi prese con sé le armi di Ettore, il suo trofeo, e
salì sul carro. Frustò i cavalli e quelli presero il volo. Trascinato nella
terra, il corpo di Ettore sollevava una nuvola nera di polvere e sangue. Era
così bello il tuo volto. E adesso striscia nella terra, coi bei capelli bruni
che, strappati, volano nella polvere. Eravamo nati lontani, noi due, tu a Troia
io a Tebe, ma un solo destino ci aspettava. Ed è stato un destino infelice.
Adesso mi lasci vedova nella tua casa, immersa nel più tremendo dolore. Il
figlio che abbiamo avuto insieme è ancora così piccolo: non potrai più
aiutarlo, e lui non potrà aiutare te. Se mai sopravviverà a questa guerra, per
sempre gli saranno accanto pena e dolore, perché chi non ha un padre perde gli
amici, e con fatica difende i suoi averi. A occhi bassi, il volto rigato di
lacrime, andrà a tirare il mantello di altri padri, per avere protezione, e
qualcuno magari avrà uno sguardo di pietà per lui, ma sarà come bagnare le
labbra a un assetato. E sì che i Troiani lo chiamavano "il signore della città",
questo bambino, perché era figlio tuo, e tu eri colui che, quella città, da
solo difendeva. Ettore... Il destino ti ha fatto morire lontano da me, e questo
sarà per sempre il mio dolore più grande: perché non ho avuto per me le tue
ultime parole: le avrei tenute strette e le avrei ricordate per tutta la vita:
ogni giorno e ogni notte della mia vita. Sotto le navi nere, adesso, sei preda
dei vermi e il tuo corpo nudo, che tanto amavo, fa da pasto ai cani. Tuniche
bellissime e ricche, tessute da mano di donna, ti aspettavano qui. Andrò nella
reggia, le prenderò e le getterò nel fuoco. Se questa è l'unica pira che posso
fare in tuo onore, la farò. Per la tua gloria, davanti a
tutti gli uomini e le donne di Troia.
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