Diego Rivera - Street in Ávila
da Feria d’agosto – Cesare Pavese
L'estate
Di tutta l'estate che
trascorsi nella città semivuota non so proprio che dire. Se chiudo gli occhi,
ecco che l'ombra ha ripreso la sua funzione di freschezza, e le vie sono
appunto questo, ombra e luce, in un passaggio alternato che investe e divora.
Amavamo la sera, le nubi torride che pesano sulle case, l'ora calma. Del resto,
anche la notte ci faceva l'effetto di quella breve penombra che inghiotte chi
dal gran sole rientra in casa. C'incontravamo sull'imbrunire, ed era già
mattino, era un'altra giornata tranquilla. Ricordo che la città era tutta
nostra - le case, gli alberi, i tavolini, le botteghe.
Nelle botteghe e sui
banchi rivedo montagne di frutta. Ricordo il profumo caldo e le voci nelle vie.
So dove cade a una cert'ora il riquadro di sole sul mattonato della stanza.
Di noi, invece, e
delle nostre parole non ritrovo quasi nulla. So che mangiai molta frutta; che
mi assopii tante volte abbracciato e abbracciando; che attardandomi a sera per
via, godevo i passanti, i colori, gli istanti, sapendomi atteso. So che le mie
mani e il mio corpo erano divenuti una cosa tenera e viva, come appunto le nuvole,
l'aria e le colline in quelle sere d'estate. Tutto questo mi fu familiare, e
direi quotidiano se il succedersi di quei giorni non mi paresse tuttora illusorio,
tanto che a volte l'intera stagione mi riesce, a ripensarci, una sola giornata
che vissi in comune. Questa giornata era dentro di me, e la compagnia che finì
con l'estate le dava un senso e una voce. Quando ci lasciavamo non ci pareva di
separarci, ma di andare ad attenderci altrove, come a un convegno, come in
fondo alle vie scompare e riappare la collina. La vedevamo ogni sera coprirsi
d'ombre, e ci piaceva tanto nella sua calma che divenne una delle cose della stanza,
divenne parte della finestra e della via. Nella notte breve non scompariva,
tant'era vicina. La giornata cominciava e finiva con lei. Mangiavamo la frutta
guardandola. Adesso non resta che la collina e la frutta.
La città semivuota mi
pareva deserta. Il gioco dell'ombra e del sole l'animava tanto, ch'era bello
fermarsi e guardare da una finestra sul cielo e su un ciottolato. Sapere che
oltre alla luce e all'ombra fresca c'era qualcosa che mi stava a cuore e
rinasceva col sole e affrettava la notte, dava un senso a ogni incontro che
avvenisse su quelle strade. C'erano gli alberi che bevevano il sole, c'erano i
gridi delle donne, c'era un grande silenzio. Uscivo dalla stanza presentendo
altri sentori e la frescura della sera. Potevo guardare e amare ogni cosa.
A volte, in
tutt'altra parte della città, c'era una piazza che mi attendeva, con le sue
nuvole e il suo calmo calore. Nessuno l'attraversava, nessuna finestra
s'apriva, ma s'aprivano gli sfondi delle vie deserte in attesa di una voce o di
un passo. Se tendevo l'orecchio, nella piazza il tempo si fermava. Era giorno
alto. Più tardi, a sera, ci pensavo e la ritrovavo immutata. In quelle sere
l'estate non perdeva vigore, giacché sapevamo che ciascuno di noi pensava
all'altro. Ogni incontro consueto mi toccava nel cuore questa certezza,
muovendola appena, e la faceva traboccare. Allora s'increspava la luce, che
vedevo come un giovane ricordo, quasi rientrassi d'improvviso in un'estate
diversa, di là dai corpi e dalle voci, e la stanza che avevo lasciato mi fosse
valsa come un'ombra che discreta mi riaccoglieva. Ogni cosa, accadendo, si
faceva ricordo, perché accadeva dentro di me prima che fuori. Era come se la
lunga giornata l'andassi facendo io, e perciò niente, della stanza e della
sera, mi era estraneo; nemmeno il corpo che accoglieva il mio, e la voce
sommessa.
Una sera le nuvole si
addensarono, e piovve tutta la notte. Io attendevo a una finestra che non era
la nostra, e gli spruzzi e le gocciole mi giungevano in faccia. Sapevo che
l'indomani la luce sarebbe stata più viva e più fresca l'ombra, e non ebbi
fretta di rientrare dov'ero aspettato. Era l'ultima pioggia dell'estate, e cambiò
il colore della città. Avrei potuto attendere, al riparo, ma discesi sotto la
pioggia e percorsi altre strade. Pensavo intensamente alla nostra finestra, ci
pensavo e me ne allontanavo. La collina era in fondo alle strade, oscurata e
avvicinata dall'ombra accresciuta. Vidi sotto la pioggia davanzali e portoni
che avevo sempre visto nel sole. Tutto era fresco e vicino, e veramente
stavolta la mia città era deserta. Traversai molte piazze. Quando rientrai,
innamorato e pensando alle strade dell'indomani, trovai la stanza vuota, e tale
fu fino a notte. Mi misi allora alla finestra.
Stemmo insieme ancora
molti giorni, fin che durò la stagione, ma entrambi sapevamo che tutto sarebbe
finito entro l'autunno. Così fu infatti.
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