4 agosto 2018

da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood

Sir Lawrence Alma-Tadema - Frigidarium
da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood
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Notizie di Elena
Telemaco sfuggì all’agguato, favorito dalla fortuna più che da un valido progetto, e tornò a casa sano e salvo. Lo accolsi con lacrime di gioia insieme alle ancelle, anche se mi addolora ricordare il pesante scontro verbale che ebbi subito dopo con lui, il mio unico figlio.
«Hai il cervello di una salamandra!» gridai, in collera. «Con che coraggio hai preso una delle nostre navi e te ne sei andato senza chiedere il permesso? Sei poco più che un bambino! Non hai esperienza, non sai governare una nave, hai corso infiniti rischi di morte! Lo sai che cos’avrebbe detto tuo padre? Che era colpa mia, perché non ti avevo impedito di partire!»
Non avrei dovuto parlargli così. Telemaco mi rispose con arroganza che non era un bambino, ma un uomo responsabile delle proprie azioni e la prova era che aveva saputo tornare a casa senza rischi. Aggiunse, sfidando la mia autorità di madre, che non avrebbe dovuto chiedere il permesso a nessuno per prendere una barca che faceva comunque parte del suo patrimonio, un patrimonio del quale era rimasto ben poco, perché non avevo saputo proteggerlo dall’avidità dei pretendenti. Ormai aveva deciso: sarebbe andato in cerca di suo padre, visto che nessun altro sembrava disposto a farlo. Odisseo sarebbe stato orgoglioso della fermezza di carattere che aveva mostrato nel liberarsi dell’affetto ossessivo delle donne, sempre troppo emotive e incapaci di giudizi obiettivi.
Con «le donne» si riferiva a me. Sua madre rientrava nelle «donne».
Che altro potevo fare se non piangere?
Ribattei con le solite frasi: «È così che mi ringrazi? Non sai che cos’ho passato per te», «Nessuna avrebbe sopportato tanto, come ho fatto a non uccidermi?». Ma sospetto che discorsi così ne avesse già sentiti prima e, a braccia incrociate e occhi al cielo, mi fece capire che lo infastidivano e non vedeva l’ora che mi zittissi. Infine tornò la calma. Le ancelle gli prepararono un bel bagno. Lo lavarono per bene e lo vestirono con abiti puliti, infine venne servita una buona cena a lui e agli amici che aveva invitato - Pireo e Teoclimeno. Pireo era sempre vissuto a Itaca e aveva aiutato Telemaco a organizzare il suo viaggio segreto. Mi riproposi di parlare con lui più tardi, e di chiedere ai suoi genitori perché l’avessero lasciato partecipare a quell’avventura. Teoclimeno era un forestiero. Sembrava un ragazzo a modo, ma ero determinata a ottenere informazioni sulla sua famiglia, perché i ragazzi dell’età di Telemaco spesso rischiano di imbattersi in cattive compagnie. Telemaco divorò il cibo e bevve il vino fino all’ultima goccia; io mi pentii di non essere stata più insistente nell’insegnargli come ci si comporta a tavola. Nessuno può dire che non ci avessi provato, ma ogni volta la vecchia Euriclea interloquiva: «Suvvia, Penelope, lascia che il ragazzo si goda il pranzo, quando sarà grande avrà tutto il tempo per imparare le buone maniere».
«L’albero nel crescere segue l’inclinazione del virgulto» ribattevo.
«Appunto» chiocciava lei «non piegheremo quel virgulto come piace a noi, no? Quante storie! Vogliamo che cresca alto e forte, che gusti la bontà dei buoni pezzi di carne che gli diamo senza che la sua puntigliosa madre lo disturbi!»
Le ancelle ridevano, gli riempivano il piatto e continuavano a ripetergli quanto fosse bello. Mi dispiace dirlo, ma era un ragazzo viziato.
Quando Telemaco e i suoi due amici finirono di mangiare, chiesi a mio figlio di raccontarmi del viaggio. Aveva avuto notizie di Odisseo? Sapeva a quali terre era approdato? E se aveva scoperto qualcosa, poteva fare uno sforzo e mettermene a parte? Avevo ancora un tono freddo nel rivolgermi a lui. È penoso sentirsi in condizione di inferiorità durante una discussione con un figlio ventenne. È più alto di me e, ammesso che l’autorità morale sia ancora dalla mia parte, anche nel migliore dei casi è un’arma debole.
Il racconto di Telemaco mi sorprese. Dopo essersi fermato dal re Nestore, che non aveva notizie da riferire, era andato da Menelao. Proprio da Menelao. Menelao il ricco. Menelao lo zuccone, Menelao dalla voce forte, Menelao il cornuto. Menelao il marito di Elena - di mia cugina Elena, Elena la bella, Elena la cagna velenosa, causa principale di tutte le mie sventure.
«Hai visto Elena?» chiesi con voce strozzata.
«Sì, certo, ci ha offerto un’ottima cena» rispose Telemaco, lanciandosi poi in uno sproloquio sul Vecchio del Mare e sulle storie che quell’ambiguo personaggio aveva raccontato a Menelao sul conto di Odisseo, intrappolato in un’isola da una bellissima dèa e costretto a far l’amore con lei tutte le notti, per tutta la notte.
A quel punto su mio marito e sulle bellissime dèe ne sapevo abbastanza. «Come hai trovato Elena?» chiesi. «A vederla stava benissimo» rispose Telemaco. «Tutti parlavano della guerra di Troia - lotte, combattimenti, budella che sprizzavano fuori - e mio padre era sempre presente, ma quando i veterani hanno cominciato a piagnucolare, Elena ha aggiunto qualcosa di più forte nel vino e allora siamo diventati tutti allegri.»
«Sì, ma» insistei «com’era da vedere?»
«Radiosa come l’aurea Afrodite» mi rispose Telemaco. «Vederla di persona dà un’emozione forte, perché è celebre, fa parte della storia. È assolutamente all’altezza della sua fama e anche più!» Poi sorrise, quasi imbarazzato.
«Dovrà essere invecchiata anche lei, almeno un po’» obiettai con tutta la calma che riuscii a trovare. Com’era possibile che Elena fosse ancora radiosa come l’aurea Afrodite? La natura doveva pure avere le sue leggi!
«Ah be’, certo» ribatté Telemaco. Fu allora che mi accorsi che, tra noi, esisteva quel legame che, sostengono in molti, nasce tra una madre e un figlio quando manca il padre. Telemaco mi fissò, notando l’espressione del mio viso. «Sembrava piuttosto vecchia. Più vecchia di te. Un po’ sciupacchiata, rugosa» aggiunse. «Come un vecchio fungo. E ha i denti gialli. Anzi, gliene manca qualcuno. Avevamo bevuto molto, perciò ci è parso che fosse ancora bella.»
Sapevo che non era vero, ma era commovente che mentisse per farmi piacere. Non a caso era pronipote di Autolico, amico di Ermes, il grande impostore, e figlio dello scaltro Odisseo dalla voce suadente, ricco d’inventiva, insuperabile nel convincere gli uomini e illudere le donne. Forse, dopotutto, non era stupido. «Ti ringrazio per le tue parole, figlio mio. Ti sono riconoscente. Ora andrò a offrire agli dèi un cesto di grano e a pregare che tuo padre ritorni sano e salvo.»
Ed è quello che feci.

traduzione di G. Aurelio Privitera

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