dipinto di Aldo Balding
da “Avventure della
ragazza cattiva” – Mario Vergas Llosa
(…)
E come dai valzerini
e dalle huaracha, dalle sambe e dalle polche eravamo passati al mambo, passammo
anche dai pattini e dai monopattini alla bicicletta, e alcuni, Tato Monje e
Tony Espejo ad esempio, alla moto, e addirittura uno o due all’automobile, come
il più cresciuto del quartiere, Luchin, che rubava qualche volta la Chevrolet convertibile
al padre e ci portava a fare un giro sui malecón del lungomare, dal Terrazas al
crepaccio Armendàriz, a cento all’ora.
Ma il fatto più
rimarchevole di quell’estate fu l’arrivo a Miraflores, dal Cile, il loro
lontanissimo paese, di due sorelle la cui presenza vistosa e il cui
inconfondibile modo di parlare, svelto svelto, mangiando le ultime sillabe
delle parole e concludendo le frasi con un’aspirata esclamazione che suonava
come un “pué”, fece girare la testa a tutti noi miraflorini che avevamo appena
cambiato i pantaloni corti con quelli lunghi. E a me più che agli altri.
La minore sembrava la
maggiore e viceversa. La maggiore si chiamava Lily ed era un po‘“più bassa di
Lucy, rispetto alla quale aveva un anno di più. Lily poteva averne quattordici
o quindici al massimo e Lucy tredici o quattordici. L’aggettivo vistosa
sembrava inventato per loro, ma, pur senza smettere di esserlo, Lucy lo era
meno della sorella, non soltanto perché i suoi capelli erano meno biondi e più
corti e perché si vestiva con meno sfacciataggine di Lily, ma perché era più taciturna
e, al momento di ballare, sebbene anche lei facesse le mosse e scuotesse i
fianchi con un’audacia cui nessuna miraflorina si sarebbe azzardata, sembrava
una ragazza pudica, inibita e quasi insignificante in confronto a quella
trottola, quella fiamma al vento, quel fuoco fatuo che era Lily quando, messi i
dischi sul pickup, esplodeva il mambo e ci mettevamo a ballare.
Lily ballava con un
ritmo delizioso e con molta grazia, sorridendo e canticchiando le parole della
canzone, alzando le braccia, mostrando le ginocchia e muovendo la vita e le
spalle in maniera che tutto il suo corpicino, modellato con tanta malizia e
tante curve dalle gonne e dalle camicette che indossava, sembrava incresparsi,
vibrare e partecipare al ballo dalla punta dei capelli ai piedi. Chi ballava il
mambo con lei se la passava sempre male, perché come fare a seguire senza
imbrogliarsi il turbine indemoniato di quelle gambe e di quelle zampette
irrequiete? Impossibile! Si rimaneva indietro da subito e si era ben coscienti
di
come gli occhi di
tutte le coppie fossero concentrati sulle gesta “mambere” di Lily. “Che
ragazzaccia! - s’indignava mia zia Alberta, - balla come quella Tongolele, una “rumbera”
dei film messicani”. “Bè, non dimentichiamoci che è cilena, - si faceva eco da
sé, - non è la virtù il forte delle donne di quel paese”.
Io di Lily mi
innamorai perso, il modo più romantico di innamorarsi - si diceva anche
prendersi una brutta cotta - e, in quell’estate indimenticabile, le feci la
dichiarazione per tre volte. La prima, nella platea alta del Ritardo Palma,
quel cinema che si trovava al Parque Central di Miraflores, in una matinée
domenicale, e mi disse di no, era ancora troppo giovane per avere un
fidanzatino. La seconda, nella pista di pattinaggio che si inaugurò proprio
quell’estate vicino al Parque Salazar, e mi disse di no, aveva bisogno di
pensarci perché, sebbene io le piacessi almeno un po’, i suoi genitori le
avevano chiesto di non accettare un fidanzatino fino a quando non avesse finito
il quarto anno della media, e lei era ancora al terzo. E l’ultima, pochi giorni
prima del grande pasticcio, al Cream Rica di avenida Larco, mentre prendevamo un
milkshake di vaniglia, e naturalmente un’altra volta no, perché mai avrebbe
dovuto dirmi di sì dato che così come stavamo sembravamo fidanzatini? Non ci
mettevano sempre in coppia quando a casa di Marta facevamo il gioco della verità?
Non ci sedevamo vicini sulla spiaggia di Miraflores? Lei non ballava con me più
che con chiunque altro alle feste? Perché, insomma, doveva dirmi formalmente di
sì se tutto Miraflores ci credeva fidanzatini? Con il suo faccino da modella,
quegli occhi scuri e maliziosi e una boccuccia dalle labbra carnose, Lily era
la civetteria fatta persona.
(…)
Traduzione di Glauco
Felici
Giulio Einaudi
Editore, 2006
Nessun commento:
Posta un commento