dipinto di Kazimir Malevich
Da “Prima luce”, 14 – Derek WalcottMai abituarsi a questo; le piumate ondeggianti casuarine,
la luce silenziosa del mattino su steli d’erba abbagliante,
gli Ave fragorosi dell’oceano, le lance bianche delle marine,
l’onda che scorre il suo rosario; saluta l’airone e il gabbiano
pieni di grazia, perché ormai è tutto quello che devi fare alla tua età,
e la sua estinzione imminente come luce sull’argilla
al tramonto, e il tuo dono che svanisce da questa pagina;
la tua anima ha percorso il solo orizzonte come una lumaca tranquilla,
l’infinità alle spalle, l’infinità davanti,
e l’unica cosa che conosceva e voleva era quest’arte –
che ne sapeva della morte? Solo quello che aveva letto,
che era come una fiamma soffiata via da una lanterna abbassata,
una notte, ma senza stelle, il formicolio dei pianeti,
luci come un vasto porto, o oblio che divora;
mai abituarsi a questo, la luna enorme in queste notti
tempestate che facevano vacillare il cuore; e il leone
del promontorio, che si muove. Ecco perché sei finito
a lodare le oscillazioni piumate delle casuarine
e quei fremiti di ringraziamento così spesso discesi,
gli steli dell’erba barbuta nella luce della sera,
le lance che svaniscono, poi le luci delle marine,
i panfili che studiano i loro riflessi in uno specchio nero.
da Derek Walcott, Nelle vene del mare, a cura di Matteo Campagnoli
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti
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