La questione meridionale - Antonio Gramsci
Gli operai d'officina e i contadini poveri sono le due energie della rivoluzione proletaria. Per loro specialmente il comunismo rappresenta una necessità essenziale: il suo avvento significa la vita e la libertà, il permanere della proprietà privata significa il pericolo immanente di essere stritolati, di tutto perdere fino alla vita fisica. Essi sono l'elemento irriducibile, la continuità dell'entusiasmo rivoluzionario, la ferrea volontà di non accettare compromessi, di proseguire implacabilmente fino alle realizzazioni integrali, senza demoralizzarsi per gli insuccessi parziali e transitori, senza farsi troppe illusioni per i facili successi.
Sono la spina dorsale della rivoluzione, i ferrei battaglioni dell'esercito proletario che avanza, rovesciando con l'impeto gli ostacoli o assediandoli con le sue maree umane che sgretolano, corrodono con opera paziente, con indefesso sacrificio. Il comunismo è la loro civiltà, è il sistema di condizioni storiche nelle quali acquisteranno una personalità, una dignità, una cultura, per il quale diventeranno spirito creatore di progresso e di bellezza.
Ogni lavoro rivoluzionario ha probabilità di buona riuscita solo in quanto si fonda sulle necessità della loro vita e sulle esigenze della loro cultura. Ciò è indispensabile comprendano i leaders del movimento proletario e socialista. Ed è necessario comprendano come urga il problema di dare a questa forza incoercibile della rivoluzione la forma adeguata alla sua psicologia diffusa.
Nelle condizioni arretrate dell'economia capitalistica di prima della guerra non era stato possibile il sorgere e lo svilupparsi di vaste e profonde organizzazioni contadine, nelle quali i lavoratori dei campi si educassero ad una concezione organica della lotta di classe e alla disciplina permanente necessaria per la ricostruzione dello Stato dopo la catastrofe capitalistica.
Le conquiste spirituali realizzate durante la guerra, le esperienze comunistiche accumulate in quattro anni di sfruttamento del sangue, subíto collettivamente, stando gomito a gomito nelle trincee fangose e insanguinate, possono andare perdute se non si riesce a inserire tutti gli individui in organi di vita nuova collettiva, nel funzionamento e nella pratica dei quali le conquiste possono solidificarsi, le esperienze possano svilupparsi, integrarsi, essere rivolte consapevolmente al raggiungimento di un fine storico concreto. Cosí organizzati i contadini diventeranno un elemento di ordine e di progresso; abbandonati a se stessi, nell'impossibilità di svolgere una azione sistematica e disciplinata, essi diventeranno un tumulto incomposto, un disordine caotico di passioni esasperate fino alla barbarie piú crudele dalle sofferenze inaudite che si vanno profilando sempre piú spaventosamente.
La rivoluzione comunista è essenzialmente un problema di organizzazione e di disciplina. Date le condizioni reali obiettive della società italiana, della rivoluzione saranno protagoniste le città industriali, con le loro masse compatte e omogenee di operai di officina. Bisogna dunque rivolgere la massima attenzione alla vita nuova che la nuova forma della lotta di classe suscita nell'interno della fabbrica e nel processo di produzione industriale. Ma con le sole forze degli operai d'officina la rivoluzione non potrà affermarsi stabilmente e diffusamente: è necessario saldare la città alla campagna, suscitare nella campagna istituzioni di contadini poveri sulle quali lo Stato socialista possa fondarsi e svilupparsi, attraverso le quali sia possibile allo Stato socialista promuovere l'introduzione delle macchine e determinare il grandioso processo di trasformazione dell'economia agraria. In Italia quest'opera è meno difficile di quanto si pensi: durante la guerra sono entrate nella fabbrica cittadina ingenti quantità di popolazione rurale: su di essa la propaganda comunista ha rapidamente attecchito; essa deve servire di cemento tra la città e la campagna, deve essere utilizzata per svolgere nella campagna una fitta opera di propaganda che distrugga le diffidenze e i rancori, deve essere utilizzata perché, valendosi della sua profonda conoscenza della psicologia rurale e della fiducia che gode, inizi appunto l'attività necessaria per determinare il sorgere e lo svilupparsi delle istituzioni nuove che incorporino nel movimento comunista le vaste forze dei lavoratori dei campi.
Sono la spina dorsale della rivoluzione, i ferrei battaglioni dell'esercito proletario che avanza, rovesciando con l'impeto gli ostacoli o assediandoli con le sue maree umane che sgretolano, corrodono con opera paziente, con indefesso sacrificio. Il comunismo è la loro civiltà, è il sistema di condizioni storiche nelle quali acquisteranno una personalità, una dignità, una cultura, per il quale diventeranno spirito creatore di progresso e di bellezza.
Ogni lavoro rivoluzionario ha probabilità di buona riuscita solo in quanto si fonda sulle necessità della loro vita e sulle esigenze della loro cultura. Ciò è indispensabile comprendano i leaders del movimento proletario e socialista. Ed è necessario comprendano come urga il problema di dare a questa forza incoercibile della rivoluzione la forma adeguata alla sua psicologia diffusa.
Nelle condizioni arretrate dell'economia capitalistica di prima della guerra non era stato possibile il sorgere e lo svilupparsi di vaste e profonde organizzazioni contadine, nelle quali i lavoratori dei campi si educassero ad una concezione organica della lotta di classe e alla disciplina permanente necessaria per la ricostruzione dello Stato dopo la catastrofe capitalistica.
Le conquiste spirituali realizzate durante la guerra, le esperienze comunistiche accumulate in quattro anni di sfruttamento del sangue, subíto collettivamente, stando gomito a gomito nelle trincee fangose e insanguinate, possono andare perdute se non si riesce a inserire tutti gli individui in organi di vita nuova collettiva, nel funzionamento e nella pratica dei quali le conquiste possono solidificarsi, le esperienze possano svilupparsi, integrarsi, essere rivolte consapevolmente al raggiungimento di un fine storico concreto. Cosí organizzati i contadini diventeranno un elemento di ordine e di progresso; abbandonati a se stessi, nell'impossibilità di svolgere una azione sistematica e disciplinata, essi diventeranno un tumulto incomposto, un disordine caotico di passioni esasperate fino alla barbarie piú crudele dalle sofferenze inaudite che si vanno profilando sempre piú spaventosamente.
La rivoluzione comunista è essenzialmente un problema di organizzazione e di disciplina. Date le condizioni reali obiettive della società italiana, della rivoluzione saranno protagoniste le città industriali, con le loro masse compatte e omogenee di operai di officina. Bisogna dunque rivolgere la massima attenzione alla vita nuova che la nuova forma della lotta di classe suscita nell'interno della fabbrica e nel processo di produzione industriale. Ma con le sole forze degli operai d'officina la rivoluzione non potrà affermarsi stabilmente e diffusamente: è necessario saldare la città alla campagna, suscitare nella campagna istituzioni di contadini poveri sulle quali lo Stato socialista possa fondarsi e svilupparsi, attraverso le quali sia possibile allo Stato socialista promuovere l'introduzione delle macchine e determinare il grandioso processo di trasformazione dell'economia agraria. In Italia quest'opera è meno difficile di quanto si pensi: durante la guerra sono entrate nella fabbrica cittadina ingenti quantità di popolazione rurale: su di essa la propaganda comunista ha rapidamente attecchito; essa deve servire di cemento tra la città e la campagna, deve essere utilizzata per svolgere nella campagna una fitta opera di propaganda che distrugga le diffidenze e i rancori, deve essere utilizzata perché, valendosi della sua profonda conoscenza della psicologia rurale e della fiducia che gode, inizi appunto l'attività necessaria per determinare il sorgere e lo svilupparsi delle istituzioni nuove che incorporino nel movimento comunista le vaste forze dei lavoratori dei campi.
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