Gino Severini - Sulla spiaggia
da “Gli amori difficili”. L'avventura di un poeta, (1958) – Italo Calvino
L'isolotto aveva rive alte, di roccia. Sopra cresceva la macchia fitta e bassa della vegetazione che resiste vicino al mare. Nel cielo volavano i gabbiani. Era una piccola isola vicino alla costa, deserta, incolta: in mezz'ora si poteva farne il giro in barca, o anche in canotto di gomma, come quello di quei due che venivano avanti, l'uomo pagaiando tranquillo, la donna coricata a prendere il sole.
Avvicinandosi l'uomo tese l'orecchio. - Cos'hai sentito? - chiese lei.
- Silenzio, - lui disse. - Le isole hanno un silenzio che si sente.
Di fatto, ogni silenzio consiste della rete di rumori minuti che l'avvolge: il silenzio dell'isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d'uccelli o da un improvviso frullo d'ali.
Giù sotto le rocce l'acqua, in quelle giornate senza un'onda, era d'un azzurro acuto, limpida, attraversata fino in fondo dai raggi del sole. Nella scogliera s'aprivano delle bocche di caverne, e i due in canotto appunto andavano pigramente a esplorarle.
Era una costa del Meridione, ancora poco toccata dal turismo, e quei due erano bagnanti che venivano di fuori. Lui era un certo Usnelli, poeta abbastanza conosciuto; lei, Delia H., donna molto bella.
Delia era un'ammiratrice del Sud, appassionata, addirittura fanatica, e sdraiata sul canotto parlava con continuo trasporto di tutto quello che vedeva, e anche forse con un poco di polemica verso Usnelli che, nuovo di quei luoghi, le pareva partecipasse meno del dovuto al suo entusiasmo.
- Aspetta, - diceva Usnelli. - Aspetta.
- Aspetta cosa? - faceva lei. - Cosa vuoi più bello di questo?
Lui, diffidente (per natura e per educazione letteraria) verso le emozioni e le parole già fatte proprie da altri, abituato più a scoprire le bellezze nascoste e spurie che quelle palesi e indiscutibili, stava nondimeno a nervi tesi. La felicità era per Usnelli uno stato sospeso, da vivere trattenendo il fiato.
L'isolotto aveva rive alte, di roccia. Sopra cresceva la macchia fitta e bassa della vegetazione che resiste vicino al mare. Nel cielo volavano i gabbiani. Era una piccola isola vicino alla costa, deserta, incolta: in mezz'ora si poteva farne il giro in barca, o anche in canotto di gomma, come quello di quei due che venivano avanti, l'uomo pagaiando tranquillo, la donna coricata a prendere il sole.
Avvicinandosi l'uomo tese l'orecchio. - Cos'hai sentito? - chiese lei.
- Silenzio, - lui disse. - Le isole hanno un silenzio che si sente.
Di fatto, ogni silenzio consiste della rete di rumori minuti che l'avvolge: il silenzio dell'isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d'uccelli o da un improvviso frullo d'ali.
Giù sotto le rocce l'acqua, in quelle giornate senza un'onda, era d'un azzurro acuto, limpida, attraversata fino in fondo dai raggi del sole. Nella scogliera s'aprivano delle bocche di caverne, e i due in canotto appunto andavano pigramente a esplorarle.
Era una costa del Meridione, ancora poco toccata dal turismo, e quei due erano bagnanti che venivano di fuori. Lui era un certo Usnelli, poeta abbastanza conosciuto; lei, Delia H., donna molto bella.
Delia era un'ammiratrice del Sud, appassionata, addirittura fanatica, e sdraiata sul canotto parlava con continuo trasporto di tutto quello che vedeva, e anche forse con un poco di polemica verso Usnelli che, nuovo di quei luoghi, le pareva partecipasse meno del dovuto al suo entusiasmo.
- Aspetta, - diceva Usnelli. - Aspetta.
- Aspetta cosa? - faceva lei. - Cosa vuoi più bello di questo?
Lui, diffidente (per natura e per educazione letteraria) verso le emozioni e le parole già fatte proprie da altri, abituato più a scoprire le bellezze nascoste e spurie che quelle palesi e indiscutibili, stava nondimeno a nervi tesi. La felicità era per Usnelli uno stato sospeso, da vivere trattenendo il fiato.
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