dipinto di Malcolm Liepke
Un amore – Dino Buzzati
La rivide qualche giorno dopo, sempre dalla signora Ermelina. Aveva telefonato come al solito, chiedendo però della Laide. Come la trovò di nuovo in quella specie di salotto, restò un poco deluso. Stavolta aveva tirato su i capelli raccogliendoli sulla nuca e sembrava trasandata. Spiccavano nel volto quei tratti vagamente popolareschi e sguaiati, il naso petulante che terminava in patatina, il moto delle labbra, che si aprivano di tanto in tanto a valva, con espressione furbesca, provocante e sicura di sé. Lo impressionò anche la disinvoltura con cui, alla presenza di lui, dell’Ermelina e di un’altra ragazza bruttina di passaggio, Laide parlava di cose sconce. Raccontava delle sue colleghe ballerine, le definiva tutte puttane.
«Ce ne sarà pur qualcheduna ancora vergine» disse la Ermelina.
«Oh sì, sì» disse la Laide ridendo «ma poi magari sono peggio delle altre. C’è una mia amica, una di buona famiglia si intende, che è una tale porca, a forza di…» e qui fece un piccolo terribile gesto «le sono venuti due fianchi così, e ha dovuto smettere di ballare, figuratevi che attività. Eppure è ancora vergine.»
«Perché vuoi che si sia ingrossati i fianchi?» disse Dorigo.
«Non c’è niente di peggio» spiegò Laide recisa, con l’aria di una che se ne intende.
Anche l’amore in letto non fu più come la prima volta. Carezze e baci sembravano formalità burocratiche. Intanto lui cercava di sapere qualcosa di lei. Ma Laide non era disposta alle confidenze. Seppe soltanto che viveva con una sorella sposata, di dodici anni più vecchia di lei; che sua mamma era morta da qualche mese, suo padre da quindici anni. Sua sorella era sempre malata, suo cognato aveva una piccola industria. L’essere ballerina della Scala le consentiva grande libertà di uscire e di far tardi alla sera.
La rivide qualche giorno dopo, sempre dalla signora Ermelina. Aveva telefonato come al solito, chiedendo però della Laide. Come la trovò di nuovo in quella specie di salotto, restò un poco deluso. Stavolta aveva tirato su i capelli raccogliendoli sulla nuca e sembrava trasandata. Spiccavano nel volto quei tratti vagamente popolareschi e sguaiati, il naso petulante che terminava in patatina, il moto delle labbra, che si aprivano di tanto in tanto a valva, con espressione furbesca, provocante e sicura di sé. Lo impressionò anche la disinvoltura con cui, alla presenza di lui, dell’Ermelina e di un’altra ragazza bruttina di passaggio, Laide parlava di cose sconce. Raccontava delle sue colleghe ballerine, le definiva tutte puttane.
«Ce ne sarà pur qualcheduna ancora vergine» disse la Ermelina.
«Oh sì, sì» disse la Laide ridendo «ma poi magari sono peggio delle altre. C’è una mia amica, una di buona famiglia si intende, che è una tale porca, a forza di…» e qui fece un piccolo terribile gesto «le sono venuti due fianchi così, e ha dovuto smettere di ballare, figuratevi che attività. Eppure è ancora vergine.»
«Perché vuoi che si sia ingrossati i fianchi?» disse Dorigo.
«Non c’è niente di peggio» spiegò Laide recisa, con l’aria di una che se ne intende.
Anche l’amore in letto non fu più come la prima volta. Carezze e baci sembravano formalità burocratiche. Intanto lui cercava di sapere qualcosa di lei. Ma Laide non era disposta alle confidenze. Seppe soltanto che viveva con una sorella sposata, di dodici anni più vecchia di lei; che sua mamma era morta da qualche mese, suo padre da quindici anni. Sua sorella era sempre malata, suo cognato aveva una piccola industria. L’essere ballerina della Scala le consentiva grande libertà di uscire e di far tardi alla sera.
Nessun commento:
Posta un commento