da Marcovaldo – Italo Calvino
Autunno
19 II giardino dei gatti ostinati
Anche Marcovaldo avrebbe avuto da dire la sua, ma non trovava il momento adatto. Finalmente, tutto d'un fiato, esclamò: – La marchesa mi ha rubato una trota!
La notizia inaspettata diede nuovi argomenti ai nemici della vecchia, ma i difensori se ne servirono come d'una prova dell'indigenza in cui versava la sfortunata nobildonna. Gli uni e gli altri furono d'accordo sul fatto che Marcovaldo dovesse andare a bussare alla sua porta e a chiederle ragione.
Il cancello non si capiva se fosse chiuso a chiave o aperto: comunque, s'apriva spingendo, con un lamentoso cigolìo. Marcovaldo si fece largo tra le foglie e i gatti, salì i gradini del portico, bussò forte all'uscio.
A una finestra (la stessa da cui s'era affacciata la padella) si alzò lo scuro della persiana e in quell'angolo si vide un occhio rotondo e turchino, una ciocca dal colore indefinibile dei capelli tinti, e una mano secca secca. Una voce che diceva: – Chi è? Chi bussa? – arrivò insieme a una nuvola d'odore d'olio fritto.
– Io, signora marchesa, sarei quello della trota, –spiegò Marcovaldo, – non per disturbarla, era solo per dirle che la trota, nel caso lei non lo sapesse, quel gatto l'aveva rubata a me, che sarei quello che l'aveva pescata, tant'è vero che la lenza...
– I gatti, sempre i gatti! – fece la marchesa, nascosta dietro la persiana, con una voce acuta e un po' nasale. – Tutte le mie maledizioni vengono dai gatti! Nessuno sa cosa vuol dire! Prigioniera notte e giorno di quelle bestiacce! E con tutta l'immondizia che la gente butta da dietro i muri, per farmi dispetto!
Autunno
19 II giardino dei gatti ostinati
Anche Marcovaldo avrebbe avuto da dire la sua, ma non trovava il momento adatto. Finalmente, tutto d'un fiato, esclamò: – La marchesa mi ha rubato una trota!
La notizia inaspettata diede nuovi argomenti ai nemici della vecchia, ma i difensori se ne servirono come d'una prova dell'indigenza in cui versava la sfortunata nobildonna. Gli uni e gli altri furono d'accordo sul fatto che Marcovaldo dovesse andare a bussare alla sua porta e a chiederle ragione.
Il cancello non si capiva se fosse chiuso a chiave o aperto: comunque, s'apriva spingendo, con un lamentoso cigolìo. Marcovaldo si fece largo tra le foglie e i gatti, salì i gradini del portico, bussò forte all'uscio.
A una finestra (la stessa da cui s'era affacciata la padella) si alzò lo scuro della persiana e in quell'angolo si vide un occhio rotondo e turchino, una ciocca dal colore indefinibile dei capelli tinti, e una mano secca secca. Una voce che diceva: – Chi è? Chi bussa? – arrivò insieme a una nuvola d'odore d'olio fritto.
– Io, signora marchesa, sarei quello della trota, –spiegò Marcovaldo, – non per disturbarla, era solo per dirle che la trota, nel caso lei non lo sapesse, quel gatto l'aveva rubata a me, che sarei quello che l'aveva pescata, tant'è vero che la lenza...
– I gatti, sempre i gatti! – fece la marchesa, nascosta dietro la persiana, con una voce acuta e un po' nasale. – Tutte le mie maledizioni vengono dai gatti! Nessuno sa cosa vuol dire! Prigioniera notte e giorno di quelle bestiacce! E con tutta l'immondizia che la gente butta da dietro i muri, per farmi dispetto!
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