da Rimini - Pier Vittorio Tondelli
Improvvisamente
il cielo di un profondo blu notte si aprì sulla visione della riviera
con le strisce luminose delle automobili, i fari, le insegne degli
alberghi non più distinguibili se non in confusi bagliori luminosi. E le
città, le città dai nomi così perfettamente turistici - Bellariva,
Marebello, Miramare, Rivazzurra - apparvero come una lunga
inestinguibile serpentina luminosa che accarezzava
il nero del mare come il bordo in strass di un vestito da sera. Poiché
se da un lato tutta la vita notturna rifulgeva nel pieno del fervore
estivo, dall'altro esistevano solo il buio, il profondo, lo sconosciuto;
e quella strada che per chilometri e chilometri lambiva l'Adriatico
offrendo festa, felicità e divertimento,
quella strada per cui avevo da ore in testa una sola frase per poterla
descrivere e cioè "sotto l'occhio dei riflettori", ecco, quella stessa
scia di piacere segnava il confine fra la vita e il sogno di essa, la
frontiera tra l'illusione luccicante del divertimento
e il peso opaco della realtà. Ma non si trattava che di un lungomare e
non di un regno. Si trattava di una strada sottile che separava i due
territori di desolazione della terra e del mare. Dall'alto vidi tutto
questo e tutto questo mi piacque, mi eccitò; forse anche mi confuse. Se
qualcuno avesse percorso in tutta la sua lunghezza quella strada, senza
uscirne mai, avrebbe forse veramente vissuto il sogno. A patto di non
sbandare mai né da una parte né dall'altra. Era necessario camminare in
linea retta, senza oscillazioni. In fondo, come aveva detto Susy al
caffè il trucco era piccolo e banale. "Basta crederci", aveva detto.
"L'importante è farlo credere". Funzionava. Io stesso ne ero ormai
prigioniero. Crederci era più forte di me
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