Felice Casorati - Abbandono, 1923
Da Un amore – Dino Buzzati
Ma ora una piccola porta si era aperta nel muro, lui era entrato, appena pochi passi, e c’era buio di là non si vedeva niente, di più che prima quando egli era fuori. Era entrato tuttavia, per poco per pochissimo forse si era incastrato nella sua vita ed è felice di questo come di un passo avanti, di una conquista tuttavia è peggio di prima, adesso egli non è più un estraneo, in un certo senso avrebbe diritto di sapere e non sa, non può neppure chiedere o indagare per paura di rovinare tutto guai se Laide avesse il dubbio che per quelle miserabili cinquantamila lire alla settimana lui si credesse in diritto di spadroneggiare, non le ha detto lui stesso che la lasciava libera? Così ancora più di prima si affollano e contorcono le poche cose che Laide ha raccontato di se stessa, cose anche terribili che gli mettevano dentro un bruciore difficile a spiegare in cui c’era insieme pietà, gelosia, ira, lussuria, e che gli riattizzavano l’amore. Frammenti turpi e ambigui, veri e falsi, forse anche inventati da lei con sottile malizia per istinto, allo scopo di eccitarlo, rendersi
più interessante, dimostrarsi sicura di sé, di là del bene e del male, mescolanza di sfrontatezza invereconda, sete confusa di vita, gusto di vendicarsi dell’umile sorte, popolaresco orgoglio, candore di bambina.
Ma ora una piccola porta si era aperta nel muro, lui era entrato, appena pochi passi, e c’era buio di là non si vedeva niente, di più che prima quando egli era fuori. Era entrato tuttavia, per poco per pochissimo forse si era incastrato nella sua vita ed è felice di questo come di un passo avanti, di una conquista tuttavia è peggio di prima, adesso egli non è più un estraneo, in un certo senso avrebbe diritto di sapere e non sa, non può neppure chiedere o indagare per paura di rovinare tutto guai se Laide avesse il dubbio che per quelle miserabili cinquantamila lire alla settimana lui si credesse in diritto di spadroneggiare, non le ha detto lui stesso che la lasciava libera? Così ancora più di prima si affollano e contorcono le poche cose che Laide ha raccontato di se stessa, cose anche terribili che gli mettevano dentro un bruciore difficile a spiegare in cui c’era insieme pietà, gelosia, ira, lussuria, e che gli riattizzavano l’amore. Frammenti turpi e ambigui, veri e falsi, forse anche inventati da lei con sottile malizia per istinto, allo scopo di eccitarlo, rendersi
più interessante, dimostrarsi sicura di sé, di là del bene e del male, mescolanza di sfrontatezza invereconda, sete confusa di vita, gusto di vendicarsi dell’umile sorte, popolaresco orgoglio, candore di bambina.
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