da Cavalli selvaggi – Cormac
McCarty
(…)
Nel grigio del
paesaggio nulla si muoveva. Smontarono da cavallo e proseguirono a piedi
sentendo i primi cinguettìi degli uccelli levarsi dal chaparral.
- Lo sai da quanto
tempo non mangiamo? disse Rawlins.
- Non ci ho nemmeno
pensato.
- Neppure io, finora.
L'idea di beccarsi una pallottola fa passare l'appetito, non ti pare?
- Fermati un attimo.
- Che c'è?
- Fermo.
Restarono in ascolto.
- Non sento niente.
- Laggiù c'è gente a
cavallo.
- Sulla strada?
- Non so.
- Vedi qualcosa?
- No.
- Proseguiamo.
John Grady sputò e
rimase ancora in ascolto. Poi s'avviarono. All'alba lasciarono i cavalli nel
greto di un torrente in secca, s'arrampicarono in cima a un'altura e si
acquattarono fra gli ocotillos a guardare il territorio che si estendeva
indietro a nordest. Alcuni cervi pascolavano sul crinale di fronte. Non videro
altro.
- Riesci a vedere la
strada? - chiese Rawlins.
- No.
Si fermarono. Rawlins
appoggiò il fucile contro il ginocchio e prese il tabacco in tasca. Mi farò una
bella fumata, disse. A oriente s'aprì un gran ventaglio di luce e all'orizzonte
sorse l'immenso disco del sole, rosso come sangue.
- Guarda laggiù,
disse John Grady.
- Dove?
- Laggiù.
A due miglia alcuni
uomini a cavallo spuntarono su una cresta. Prima uno, poi due, poi un terzo.
Quindi scomparvero di nuovo.
- Dove saranno
diretti?
- Be', cugino, non
posso giurarci, ma penso di saperlo benissimo.
Rawlins teneva la
sigaretta in mano. Ci toccherà crepare in questo maledetto paese.
- Io dico di no.
- Pensi che riescano
a seguire le nostre tracce su questo terreno?
- Non lo so. Ma non
sono nemmeno certo del contrario.
- Sai che ti dico? Se
riescono a scovarci quassù coi cavalli scoppiati dovranno vedersela con questo
fucile.
John Grady lo guardò
e tornò a guardare il punto in cui erano comparsi i cavalieri.
- Non ho nessuna
voglia di tornare in Texas facendomi strada a colpi di fucile, disse.
- Dov'è la tua
pistola?
- Nella borsa.
Rawlins accese la sigaretta.
- Se incontro ancora quel
figlio di puttana lo faccio secco personalmente, lo giuro sulla mia testa.
- Andiamo, disse John
Grady. - Tra noi e loro c'è ancora un sacco di strada. Preferisco una bella
fuga a una pessima resistenza.
Si allontanarono
verso occidente col sole alle spalle e proiettarono di fronte a sé ombre lunghe
come alberi. Attraversarono un antico territorio vulcanico, si tennero al
margine di quel nero pianoro ondulato e sassoso, e spesso si guardarono alle
spalle. Videro una seconda volta gli uomini a cavallo, più a sud del punto previsto.
E li videro ancora una terza.
- Se i loro cavalli
non hanno toccato il fondo, direi che dovrebbero andare più svelti, disse
Rawlins.
- Anch'io.
A metà mattina
salirono sulla cresta di un'altura vulcanica, voltarono i cavalli e si
fermarono a guardare indietro.
- Che ne dici?
- Be', ormai hanno
capito che noi non abbiamo il cavallo, questo è sicuro, e forse non muoiono
dalla voglia di gironzolare da queste parti come noi due.
- Hai ragione.
Si fermarono a lungo
in mezzo all'immobilità più totale.
- Secondo me ci hanno
lasciati perdere.
- Anche secondo me.
- Però muoviamoci.
Nel tardo pomeriggio
i cavalli cominciarono a barcollare. Dopo averli fatti bere nel proprio
cappello, i due ragazzi scolarono l'altra borraccia e ripresero la marcia.
Degli inseguitori nessuna traccia. Verso sera s'imbatterono in un gruppo di pastori
accampati sull'altra sponda di un profondo arroyo col letto di sassi bianchi e rotondi.
I pastori parevano aver scelto il posto come gli antichi abitanti di quella terra,
pensando alla possibilità di difendersi, e osservarono con grande solennità i
cavalieri che costeggiavano l'altra riva.
- Che dici? chiese
John Grady.
- Dico di proseguire.
Sono un po' deluso dagli abitanti di queste parti.
- Forse hai ragione.
Proseguirono per un altro
miglio e scesero nell'arroyo in cerca di acqua, ma non ne trovarono. Smontarono
e proseguirono a piedi caracollando nel buio incombente.
Rawlins, con il
fucile ancora in mano, seguiva le orme lasciate dagli uccelli o dai cinghiali
sulla sabbia. La notte li sorprese seduti per terra sulle coperte, senza fuoco
e senza parole. I cavalli erano legati poco più in là. A un certo punto Rawlins
disse:
- Dovevamo farci dare
un po' d'acqua da quei pastori.
- Troveremo l'acqua domattina.
- Vorrei fosse già domattina.
John Grady non
rispose.
- Quel maledetto di
Junior continuerà ad agitarsi, a pisciare e far casino tutta la notte. Ormai lo
conosco.
- Probabilmente i
cavalli pensano che siamo impazziti.
- E non lo siamo?
- Pensi che l'abbiano
preso?
- Non saprei.
- Vado a nanna.
Si avvolsero nelle coperte.
I cavalli si agitavano nel buio.
- Sai che ti dico di
lui? chiese Rawlins.
- Di chi?
- Di Blevins.
- Cosa?
- Quando gli fregano
il cavallo, quel piccolo figlio di puttana non ha paura di nessuno.
Al mattino lasciarono
i cavalli nell'arroyo e si arrampicarono a guardare l'alba e a vedere come si presentava
la situazione. Al sorgere del sole si sedettero con la schiena al caldo per rimediare
al freddo della notte. A nord un sottile filo di fumo aleggiava nell'aria immobile.
- Saranno i pastori?
chiese Rawlins.
- Speriamo.
- Vuoi andare laggiù
a vedere se ci danno un po' d'acqua e di roba da mangiare?
- No.
- Io nemmeno.
Rawlins si alzò e s'allontanò
col fucile in mano. Poco dopo ritornò col cappello pieno di fichi d'India,
versò i frutti su una roccia piatta e cominciò a pelarli con il coltello.
- Ne vuoi? disse.
John Grady si
avvicinò e prese in tasca il proprio coltello. I fichi d'India, ancora freddi
per la notte, tinsero le loro dita di rosso. Li pelarono, li mangiarono, sputando
i semi durissimi e cominciarono a togliersi le spine dalle dita. Rawlins indicò
il paesaggio deserto con la mano.
- Non succede molto da
queste parti, eh?
John Grady assentì.
- Il guaio peggiore è
che possiamo finire in bocca a quella gente senza nemmeno saperlo. Non abbiamo
nemmeno visto bene i loro cavalli. Rawlins sputò.
- Loro hanno lo
stesso problema. Non ci conoscono.
- Però ci
riconoscerebbero facilmente.
- Sì, disse Rawlins.
Hai ragione.
- In compenso i
nostri problemi fanno ridere rispetto a quelli di Blevins. Lui è come se avesse
il cavallo dipinto di rosso e andasse in giro suonando la tromba.
- Non hai tutti i
torti.
Rawlins pulì il
coltello sui calzoni e lo richiuse.
- Ho l'impressione di
non capirci più niente.
- Il bello è che lui
dice la verità: quel cavallo è suo.
- Comunque sia è di qualcuno.
- Ma certamente non è
di questi messicani.
- Sì, ma non potrà
mai dimostrarlo.
Rawlins infilò il
coltello in tasca e ispezionò il cappello per ripulirlo dalle spine dei fichi
d'India.
- Un bel cavallo è
come una bella donna, non vale i fastidi che dà. Meglio un cavallo normale che
faccia quello che deve fare.
- E questa dove l'hai
presa?
- Non lo so.
John Grady ripiegò il
coltello e disse:
- Be', da queste
parti c'è un sacco di spazio. Davvero un sacco. Chissà dov'è andato.
Rawlins annuì.
- Ora ti ripeto
quello che hai detto a me.
- Che cosa?
- Vedrai che non ce
lo siamo ancora tolto dai piedi.
Cavalcarono tutto il giorno
nella vasta pianura in direzione sud e a mezzogiorno trovarono l'acqua, un
residuo fangoso in fondo a una cisterna in mattoni. Verso sera, attraversando
un colle, stanarono un cerbiatto da una macchia di ginepri.
Rawlins mollò le
redini, estrasse rapidamente il fucile dal fodero, mirò e fece fuoco. Il cavallo
s'inarcò e scartò di fianco tremando. Il ragazzo smontò e raggiunse di corsa il
cerbiatto che giaceva morto in una pozza di sangue. John Grady lo seguì
tirandosi dietro l'altro cavallo. Il cerbiatto, colpito alla base del cranio,
aveva già gli occhi vitrei. Rawlins estrasse il bossolo, mise in canna un'altra
pallottola con l'apposita leva e abbassò il cane col pollice, poi alzò lo sguardo.
- Bel colpo, disse
John Grady.
- No, è stata solo
fortuna. Ho sparato senza nemmeno mirare.
- Bel colpo lo stesso.
- Passami il tuo
coltello da caccia. Se non ci facciamo un'abbuffata di cervo io sono un cinese.
Lo sventrarono, lo
stesero a raffreddare sui ginepri e fecero un giretto sulla collina in cerca di
legna, poi accesero il fuoco, tagliarono dei rami di paloverde e fecero alcuni
montanti a forcella per appoggiarveli sopra. Rawlins scuoiò il cerbiatto,
tagliò la carne a strisce e la stese sui rami ad affumicare. Quando le fiamme scemarono,
infilzò i pezzi che restavano su due bastoncini di legno verde e li mise a cuocere
sulle braci appoggiandoli di lato su qualche pietra. Infine si sedettero
entrambi a guardare la carne arrostire e fiutarono l'odore del grasso che
colava nel fuoco fumando e sfrigolando.
John Grady raggiunse
i cavalli, li dissellò, li mise in pastoie e tornò con le coperte e la sella.
- Ecco qua, disse.
- Cos'è?
- Sale.
- Quanto vorrei un
po' di pane!
- E che ne diresti di
un po' di mais fresco, qualche patata e una brocca di sidro ghiacciato?
- Non fare lo
stronzo.
- Non è ancora cotta
la roba?
- No. Siediti. Non la
farai cuocere prima stando lì in piedi.
Mangiarono un filetto
a testa, voltarono i pezzi stesi ad affumicare sui rami e si sdraiarono a
rollarsi una sigaretta.
- Ho visto i vaqueros
che lavoravano da Blair tagliare una vitella di un anno in fette così sottili
da vederci attraverso. E riuscivano a disossarla in maniera da ricavarne quasi
un unico pezzo. Poi appendevano la carne intorno al fuoco come biancheria; se
ci capitavi di
notte non riuscivi a
capire cosa diavolo fosse. Sembrava di guardare attraverso qualcosa e vedergli
il cuore. Durante la notte attizzavano il fuoco e giravano la carne, e li
vedevi aggirarsi là in mezzo. Se ti svegliavi vedevi quella strana cosa
risplendere nella prateria come una stufa incandescente. Rossa come sangue.
- Questa carne saprà
di cedro, disse John Grady.
- Lo so.
A sud lungo la cresta
si sentivano i coyote ululare. Rawlins si sporse a scuotere la cenere della
sigaretta nel fuoco.
- Pensi mai alla
morte?
- Sì. Qualche volta.
Tu?
- Sì. Qualche volta.
- Secondo te esiste
il paradiso? Sì. E secondo te?
- Non so. Sì. Forse.
- Secondo te si può
credere al paradiso se non si crede all'inferno?
- Secondo me puoi
credere a quel che ti pare.
Rawlins annuì.
- Se pensi a tutto
quello che ti può succedere non la finisci più.
- Stai cercando di convertirci?
- No. Ma qualche
volta mi chiedo se non farei meglio.
- Non starai mica
meditando di andartene, eh? No, te l'ho detto.
John Grady assentì.
- Pensi che quella
carne possa attirare un leone? disse Rawlins.
- Può darsi.
- Ne hai mai visto
uno?
- No, e tu?
- Solo quello ucciso
dai cani di Julius Ramsey lungo il Grape Creek. Julius s'è arrampicato
sull'albero e l'ha costretto a scendere con un bastone. Così il leone ha dovuto
vedersela coi cani.
- Secondo te l'ha
fatto davvero?
- Sì, probabilmente
sì. John Grady annuì.
- È un tipo che ne
sarebbe capace.
I coyote ulularono,
smisero, e ulularono di nuovo.
- Secondo te Dio
tiene d'occhio la gente? disse Rawlins.
- Sì. Penso di sì.
Tu?
- Sì. Visto come va
il mondo lo penso anch'io. Un giorno uno si sveglia e sternuta in Arkansas o in
qualche altro posto, e prima che tu te ne accorga succedono guerre, disastri,
il finimondo. In un attimo non si capisce più niente. Secondo me Lui ci sta attento.
Altrimenti non saremmo in grado di sopravvivere un giorno.
John Grady assentì.
- Pensi che quei bastardi
l'abbiano preso?
- Blevins? Sì.
- Non so. Credevo che
non vedessi l'ora di liberartene. Non vorrei che gli succedesse qualcosa di
brutto.
- Neanch'io.
- Pensi che si chiami
proprio Jimmy Blevins?
- Chi lo sa.
Nella notte i coyote
li svegliarono azzuffandosi come gatti per contendersi la carcassa del cervo.
- Senti che casino,
disse Rawlins.
Si alzò, prese un
tizzone ardente e lo tirò ai coyote con un urlo facendoli scappare, poi attizzò
il fuoco e girò la carne che stava ad affumicare sul graticcio di legno verde,
ma non fece in tempo a tornare sotto le coperte che li sentì di nuovo arrivare.
L'indomani
cavalcarono tutto il giorno sulle colline verso ponente. Ogni tanto mangiavano
la carne quasi secca e affumicata del cervo: la tagliavano a pezzi, la masticavano
a lungo pulendosi le mani nere e unte sul manto dei cavalli e si passavano la borraccia
in continuazione ammirando il paesaggio. A sud c'era un temporale e all'orizzonte
si muovevano lentamente grossi banchi di nuvole nere da cui pendevano pigramente
lunghi tentacoli scuri di pioggia.
(…)
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