8 aprile 2018

da Il tailleur grigio - Andrea Camilleri

Gianni Mariotti - L'amante

Il tailleur grigio - Andrea Camilleri

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E fu appunto una domenica mattina che Adele, in mutande e reggiseno, arrivata al momento della scelta del vestito, raprì una parte dell’armadio che mai le aveva visto raprire e ne pigliò uno a colpo sicuro.
Lo riconobbe immediatamente, perché dai primi suoi incontri con Adele conservava una memoria lacerante, macari del più piccolo dettaglio. Era quel tailleur grigio da donna d’affari che aveva indossato appena passato il lutto stritto, quando era venuta a trovarlo in banca per firmare i documenti e doppo erano andati a mangiare per la prima volta insieme. Quando lei gli aveva detto d’essere sterile. Da allora, non glielo aveva più visto addosso.
Perché lo tirava fuori ora?
Come se avesse indovinato la sua muta domanda, lei, mentre mioveva il bacino a piccoli colpi per infilarsi al gonna, disse:
“Ieri sera zia Ernestina mi ha telefonato da Bagheria che zio ‘Ntonio sta morendo. Lo vado a trovare. Ha pochi giorni di vita. Ci faccio un salto e poi torno perché ho una riunione del direttivo.”
Zia Ernestina e zio ‘Ntonio, che non avevano figli, se l’erano pigliata in casa quando, a quattordici anni, era rimasta orfana.
A stare a quanto gli aveva contato, l’anno appresso, il jorno che aveva compiuto quindici anni, le avevano fatto una doppia festa: all’ora di pranzo, tornando da scuola, aveva trovato una torta con le candeline e un bel vestitino novo novo. Questa era stata la prima festa. La seconda, più intima, gliela aveva fatta lo zio ‘Ntonio approfittando che la mogliere era nisciuta e sarebbe rimasta fora tutto il doppopranzo.
“Ma tu non ti sei minimamente insospettita quando ti ha chiesto di salire in soffitta con lui?”
“Certo che sì. Non ero scema nemmeno allora.”
“E ci sei andata lo stesso?”
“Sì.”
“E che è successo?”
“C’era una brandina con un materasso arrotolato.”
“L’ha srotolato?”
“No, l’ha buttato a terra.”
“Perché?”
“Non so, forse si scantava che si macchiava e la zia…”
“Tu che facevi, intanto?”
“Lo guardavo.”
“E poi?”
“E poi mi ha fatto stendere sulla brandina, mi ha fatto alzare le gambe e mi ha sfilato le mutandine. Vuoi altri particolari?”
“Mi bastano. Com’è che non ti sei ribellata?”
“Boh.”
“Perché?”
“Mah, forse perché m’era parsa una cosa ineluttabile. Sapevo che prima o poi… Era da qualche mese che ci provava.”
“E quant’è durata?”
“Un annetto circa.”
“Sempre nella soffitta?”
Lei arridì.
“No. Non c’era più rischio di macchie compromettenti. Nel suo letto, nel mio, dove capitava. Oppure in piedi.”
“E com’è finita?”
“Ho conosciuto un ragazzo, mi sono innamorata e non ne ho più voluto sapere di continuare.”
“E lui?”
“S’è dovuto rassegnare, poverino.”
Poverino.
E ora lei lo andava a trovare in punto di morte indossando il vestito adatto alla circostanza. Perché era chiaro che quel tailleur lei l’usava solo come doppo lutto stritto o come pre lutto.

Quando lei gli aveva detto che non si era ribellata alla violenza dello zio perché riteneva la cosa ineluttabile, aveva adoperata questa precisa parola, lui aveva sentito che in quel momento le loro due orbite, che parevano seguire ellittiche sideralmente diverse, si erano, di colpo e per un istante, avvicinate.
Nei matrimoni, doppo qualche tempo, spesso avviene una sorta di misteriosa comunanza, complicità o quello che è, che porta marito e mogliere a vedere e a giudicare le cose allo stesso modo. Anche lui aveva lucidamente previsto il tradimento di lei e, quando si era avverato, non aveva reagito. Si era semplicemente arreso, come Adele, all’ineluttabilità.
(…)
 

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