8 aprile 2018

da Il tailleur grigio - Andrea Camilleri

Opera di Steve Hank

Il tailleur grigio - Andrea Camilleri

(…)
Erano passate tre ore. Sicuramente Adele in quel momento si stava rivestendo. Fu allora che provò l’unica, vera fitta di gelosia. Che Adele si fosse fatta possedere da un altro rientrava, conoscendola, nell’ordine delle cose ineluttabili. Ma che concedesse all’amante macari la possibilità di vederla durante la cerimonia, questo era troppo.
Perché la sua vestizione, alla quale gli era dato d’assistere solo la domenica mattina, era una vera e propria cerimonia che cominciava con una lunga purificazione del corpo. Per lavarsi adoperava due saponi. Col promo s’insaponava tutta stando addritta davanti al lavandino. Quindi andava a farsi la doccia badando che non le restasse in qualche parte del corpo la minima traccia di schiuma. Quindi, restando sempre sotto il getto, usava il secondo sapone.
Una volta si era azzardato:
“Mi lasci entrare?”
Aveva gana d’insaponarla tutta e dovunque, davanti e darrè, d’abbracciarla stretta per sentirla scivolare contro di sé come un’anguilla.
“Non ti permettere!”
Un ordine secco, dato con u tono irritato che non ammetteva replica. E lui aveva obbedito, limitandosi a taliarla attraverso il vetro opaco del box, assittato sul bordo della Jacuzzi che lei usava raramente. Doppo lei nisciva dalla doccia e s’asciucava taliandosi allo specchio che occupava tutto intere il retro della porta. Gettato a terra il grande asciugamano, pigliava il vasetto di una crema, appositamente preparata in erboristeria, che si spalmava a lungo sui seni. Vedeva i suoi capezzoli durante il massaggio indurirsi e rizzarsi. Ma fin dalla prima volta Adele aveva stabilito che lui poteva assistere al rito senza parteciparvi, come dire, emotivamente. Per questo, per evitare ogni rischio, appena lei gettava a terra l’asciugamano, lui lo raccoglieva e se lo metteva sulle gambe.
Dopo i seni, veniva il turno delle braccia e delle gambe. Prima procedeva alla depilazione delle ascelle con un rasoietto color verde, quindi, presa in mano una lente d’ingrandimento, esplorava millimetro doppo millimetro le braccia e le gambe alla ricerca di qualche pelo inesistente, aveva la pelle liscia come una palla da bigliardo. Se credeva di vederne uno, lo strappava con la pinzetta. Le cerette, che pure aveva, erano del tutto inutili. Quindi, si massaggiava a lungo con un’altra crema personale.
Doppo, assittata sullo sgabello di plastica bianca, coi piedi appoggiati sull’orlo della vasca da bagno, le ginocchia flesse, nella mano mancina uno specchietto col manico e nella dritta un piccolo rasoio stavolta rosa, aboliva o riduceva il biondo-rossiccio contorno delle sue parti intime. Con un’altra crema, si massaggiava le natiche e la parte interna delle cosce. Seguiva la pulizia dei piedi che venivano anch’essi spalmati da un altro tipo di crema. Sulle unghie si spennellava qualcosa che le rendeva lucidissime.
Appresso, sempre nuda, passava nella grande camera-spogliatoio che c’era allato del bagno. Lui la seguiva e aveva diritto a uno sgabello. Assittata sul pouf della toilette, si dava una ritoccatina alle sopracciglia e si passava appena appena un rossetto rosa tenue sulle labbra. Non ne aveva nisciun bisogno, ma lo faceva lo stesso. L’unico momento nel quale poteva partecipare al rito era quando lei gli pruiva, senza parlare, la spazzola per i capelli. Addritta darrè a lei, glieli spazzolava per una mezzorata. Doppo tornava al suo posto.
Lei allora si girava dando le spalle allo specchio della toilette e, sempre standosene assittata, arrotolava la prima calza. Appresso, calata in avanti, con i seni tanto solidi da non da non cataminarsi manco in quella posizione, infilava la punta del piede nella calza e cominciava a srotolarla lentissimamente. E altrettanto lentissimamente isava la gamba via via che la calza risaliva dal malleolo al polpaccio alla coscia. Infine, con la gamba completamente isata come una ballerina, dava l’ultima tirata alla calza in modo che aderisse perfettamente alla pelle senza la minima increspatura. Doppo aver inguainato macari l’altra gamba, si metteva il reggiseno standosene sempre assittata. Si susiva con le mutandine in mano e, per infilarsele, gli voltava le spalle. Doppo spalancava le ante dell’armadio e accomenzava a passargli davanti, mugolando a bocca chiusa una canzoncina.
Quando decideva come vestirsi, non aveva ripensamenti. Solo che, stranamente, i gesti che faceva per vestirsi risultavano assai più provocanti di quelli di uno spogliarello.
Se indossava per esempio un paio di pantaloni, i sinuosi movimenti del bacino e dei fianchi mimavano spietatamente un altro movimento.
(…)
 

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