Mario Tozzi - Donna seduta di schiena
Da “Uomini nudi” – Alicia Giménez-Bartlett(…)
“Senti, frà, non ce l’ho fatta a dirtelo prima, con tutta l’agitazione del debutto, ma stasera ho dato appuntamento a Genoveva e a quell’altra. Hanno insistito, cazzo, hanno stressato da morire. Hanno saputo che stasera c’era la prima del nuovo show e sono di là che ci aspettano sedute a un tavolo”.
Sticazzi, che sguardo! No so se avrei il coraggio di fare il duello con lui dopo uno sguardo del genere. Capace che quella lancia di plastica me la ficca davvero in gola, anche se è spuntata. Ma il peggio è come ha risposto: “Avresti dovuto dirmelo”. Non una parola di più. Ecco com’è il professore, sempre fatto a modo suo. Un altro grida e t’insulta, e allora tu puoi tenergli testa. E invece lui no, ti guarda come se volesse ammazzarti e basta. Ti mette addosso un magone che lo sai solo tu, e non puoi dire niente.
“Spero che adesso tu non mi lasci a piedi”.
“No. Se hai preso l’impegno, vengo”.
“Comunque, frà, forse mi sono perso qualcosa. Si può sapere che cazzo è successo con quella tipa? All’inizio ti piaceva tanto! C’è qualche brutta storia?”.
“Lascia perdere, Ivàn”.
“Come vuoi. Ma se siamo amici, cosa mi rappresenta che non mi racconti le cose? Soprattutto se ci sono rogne con una che ti ho fatto conoscere io”.
“Ti ho detto di lasciar perdere, Ivàn. Stasera vengo e punto. È quello che volevi, no?”.
“D’accordo, frà, mi cucio la bocca. Fa conto che non t’ho detto niente”.
Porca zozza, il prof, che carattere di merda! Meglio non pensarci, non vale la pena.
Ad ogni modo credevo che l’amico del mio cuore mi mandasse a puttane la serata e invece no, è andata bene. Le abbiamo raggiunte al tavolo ed è riuscito a non fare scena muta. Forse perché l’Irene non era vestita come al solito, da segretaria in libera uscita. Si era messa tutta provocante, con minivestito nero, calze a rete e rossetto assassino. Non mi ero accorto che fosse così gnocca. Ero quasi pentito di non aver detto al prof di scapparsene pure a casa, che me le gestivo tutte e due io.
E ce ne siamo andati a cena. Javier, come sempre, educato, cavaliere come fa lui, niente dell’altro mondo, è stato sempre serio, ma nessuna paranoia. E le femmine, soprattutto Genoveva, a sdilinquirsi tutto il tempo sullo show, a dirci quanto eravamo stati fantastici e fenomenali, e come ci stavano bene quei costumi da gladiatori, e com’era stato divertente e ben studiato tutto il numero.
Mangiare abbiamo mangiato, ma all’alcol ci siamo stati attenti, per evitare casini. All’uscita del ristorante, quando è arrivato il momento si dividere le nostre strade, mi sono detto: vuoi vedere che adesso il prof ci pianta qua in tre? E invece no, tutto a posto, io me ne sono andato con la Geno e lui è rimasto lì con la tipa a chiacchierare come se niente fosse.
Non sono pettegolo. Me ne sbatto di quello che fanno gli altri, e non leggo nemmeno quei giornali dove ti raccontano se l’attore o il cantante si è sposato o ha divorziato. Non me ne frega una mazza e mi stanno sulle palle quelli che vogliono sapere sempre tutto e ficcano il naso nella tua vita. Ma qui è diverso, non so cosa da rei per sapere che cosa cazzo è capitato tra quell’Irene e Javier, e che cosa sta capitando adesso. Ho chiesto alla Geno, e lei dice che non lo sa, che anche Irene non parla. Per me qui è successo qualcosa di grosso, sta succedendo o succederà. Ma può anche darsi che alla fine siano tutte stronzate da fighetti viziati.
“Adiamo in albergo?” chiede.
“No. Irene, non stasera. Ormai siamo come vecchi amici. Ti invito a prendere qualcosa da me. Ma se la cosa non ti convince, possiamo salutarci”.
“Non ti piacciono gli alberghi?”.
“Ci sono tante cose che non mi piacciono, e gli alberghi sono tra quelle. Allora, vieni?”.
“Va bene. Ma voglio che sia chiara una cosa. Anche se andiamo a casa tua, io pago”.
“Nessun problema. Tu vuoi pagare e io voglio essere pagato, siamo pari”.
Prendiamo un taxi. Non è agitata, e neppure io. Stasera è vestita in modo molto seducente. Perché mai? Da quando Ivàn mi ha annunciato questo incontro a sorpresa mi sono deciso per questa linea d’azione. Punto primo: andare a casa mia. Sono stanco di salire nelle stanze che lei paga al solo scopo di vedere come mi tolgo i boxer. Me li toglierò a casa mia, come faccio ogni sera per mettermi a letto. Basta con i rituali da quattro soldi. Prima le offro qualcosa, e nel frattempo lei guarda la libreria nel soggiorno. Vedrà che vivo in un posto pulito e ordinato. Si renderà conto che non sono un coatto di periferia, un poveraccio da prender per il culo.
Entrando, come già immaginavo, la prima cosa che la colpisce sono i libri. Si avvicina agli scaffali, li osserva da vicino, ci si sofferma a lungo. La lascio e vado in cucina. Preparo due cocktail. Mi accorgo che sono stanco. Ho male alle braccia. Ci siamo esercitati intensamente per giorni e giorni perché il numero dei gladiatori venisse bene. Ricompaio in soggiorno con un bicchiere in ciascuna mano e… oh, magia! Lei è ancora assorta nella contemplazione dei libri, con l’unica differenza che adesso è nuda. Il suo vestito nero, le calze a rete, la biancheria, è tutto ben messo sul divano. Non faccio il minimo commento. Poso i bicchieri sul tavolino e comincio a spogliarmi. Rimango appoggiato al muro, a guardarla. È una sensazione strana osservarla mentre si muove lentamente, senza far caso a me, mentre prende un libro, lo sfoglia, e poi torna a infilarlo al suo posto. Vedo la sua schiena dritta, il suo sedere sodo, le curve dolci dei suoi fianchi. Finalmente si volta.
“Ti piace leggere”.
“A te no?”.
“Non ho letto molti libri nella mia vita. Sono sempre stata molto occupata. Pensavo che avrei potuto farlo più avanti, nella vecchiaia”.
“Irene” le dico. “Adesso vengo dove sei tu. Non reggo più questa situazione. Se non vuoi che lo faccia, puoi vestirti e andartene”.
“Non voglio andarmene”.
Fa esattamente come ha detto, viene verso di me. Quando mi arriva vicino e accosta il suo corpo al mio, sento il suo pene contro il mio ventre. Mi bacia sulle lebbra. Mi bacia tutto il corpo inginocchiandosi davanti a me. Poi mi trascina verso il divano. Comincio a desiderarlo, come se qualcosa mi mordesse dentro. È una sensazione imperiosa, che mi fa tremare, che mi spaventa e mi fa girare la testa, che mi annulla. Perdo di vista la stanza, la realtà, l’identità. Non so più chi sono, non so più chi è lui. Non me importa. Poi viene il calore, quel calore che mi scioglie le viscere. Non c’è più lui, non ci sono più io, siamo un tutt’uno che brucia. Ritorno alla protezione del grembo materno, dove nulla ancora esiste.
“Irene” le sussurro all’orecchio.
Non risponde, non si muove. La guardo.
Mentre la penetro le sfugge un sospiro che è anche un gemito, un mugolio. Non so che tipo di rumore sia è qualcosa di animale e spirituale insieme, quasi mistico. Siamo uno sull’altra, distesi sul divano, esanimi. Ha gli occhi chiusi, ansima ancora un poco. Guardarla è uno spettacolo meraviglioso. Che vita ha avuto questa donna? Sono io i suo primo uomo? È stata la migliore scopata della sua vita? La bacio teneramente sui capelli. Mi commuove, sembra una bambina addormentata. Non fa il minimo movimento, è ancora tutta dentro se stessa, nella sua atmosfera, come se dondolasse nell’aria o galleggiasse sul mare.
Siamo in una posizione precaria, appena cerco di tirarmi su rotoliamo sul tappeto. Mi viene da ridere. Ho voglia di ridere, sono euforico, sto profondamente bene, drogato dalle sue sensazioni oltre che dalle mie. Lei apre gli occhi, come se svegliasse da un sonno profondo, come se facesse ritorno da molto lontano.
“Stai bene?” le chiedo.
“Si”.
Non è vero, non sto bene. Sarei rimasta di più sulla nuvola, senza toccare terra, senza esistere. Mai nella mia vita avevo provato sensazioni così agoniche. Per la prima volta da quando ho coscienza sono sfuggita a me stessa, al passato e al futuro. Adesso però ho soltanto freddo. Non so nemmeno che ore sono. Devo andare.
“È stato incredibile, no?” dice Javier.
Non so cosa rispondere. Torno alla mia pelle, ridivento me stessa, anche se non del tutto. Ho bisogno di ricompormi, di riprendere le redini, di ritrovare il controllo.
“Sì, è andata bene. E poi non mi hai chiamata tesoro, che è già qualcosa”.
Una risposta raggelante. Strano senso dell’umorismo. Si riveste in fretta. Cerca la borsa, posa la somma stabilita sul tavolo. Mi chiede dov’è il bagno. Prima che ritorni cerco di capire la sua reazione. Si vergogna, si sente travolta, si è lasciata andare oltre i limiti conosciuti. È un’imprenditrice, una manager, una donna fredda che voleva solo vedere degli uomini nudi per dimostrare a se stessa il suo potere, il suo autocontrollo. È normale che abbia reagito così dopo un orgasmo potente. Rientra nel soggiorno chiamando un taxi dal suo cellulare. Mi saluta dandomi la mano. Io sono ancora nudo. Rido di nuovo. Lei si concede un piccolo sorriso.
“Ci si rivede presto, spero” le dico, e le catturo la mano a mezz’aria.
“Ti chiamerà Genoveva”.
Genoveva! Che cosa c’entra Genoveva, adesso? Pazienza, ha il diritto di continuare la sua commedia ancora per un po’. Ma se quello che è successo stasera è stato reale, e lo è stato, tornerà presto. E mi farà piacere, perché adesso sì, sono sicuro che voglio rivederla, voglio di nuovo farlo con lei come lo abbiamo fatto oggi.
(…)
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