Opera di Steve Hank
Il tailleur grigio - Andrea Camilleri
(…)
Una sera , mentre stavano a taliare la televisione, le gli aveva spiato:
“Ti dispiace se per qualche tempo ospito un mio nipote che si è iscritto all’università?”
Era una domanda pro forma. Macari se avesse detto che gli dispiaceva, Adele se lo sarebbe pigliato in casa lo stesso, contandogli qualche fanfariata solenne.
“Hai un nipote?!”
“Oddio, non è un nipote nipote. Sai come siamo noi in Sicilia con le parentele. E’ il figlio di mia cugina Adriana che abita a Polizzi. Non te la ricordi? E’ venuta al nostro matrimonio. Sono andata a trovarla la settimana scorsa, te l’ho anche detto. Adriana mi ha esposto il suo problema e io che potevo fare?. Le ho detto che per poco tempo potevo ospitarlo. Il ragazzo si chiama Daniele. io ho una camera in più. Non mi darà nessun fastidio. Lo posso mettere lì, tanto sono sicura che con noi ci starà poco.”
“Chi te lo dice? Può darsi che si trovi così bene che …”
“Ma dai! Ha diciannove anni! Vorrà la sua libertà. Forse ha una fidanzatina che non oserebbe mai portare a casa nostra. Si dovranno contentare di farlo nella sua Cinquecento, poveracci. Comunque Adriana mi ha giurato che appena trova una sistemazione decente, suo sgombra.”
“Che studia?”
“Legge.”
“Quando arriva?”
“Ancora non lo so. Me lo telefonerà Adriana.”
Ogni appartamento era dotato di una linea telefonica propria. Un martedì sera, che era appena tornato dalla banca, sentì squillare il telefono dello studio. Era Adriana, la cugina di sua mogliere, chiamava da Polizzi.
“Scusami se ti disturbo, ma ho cercato Adele tutto il giorno e non sono mai riuscita a trovarla. Tu hai idea di dove possa essere?”
“No, ma se chiami di là tra un’oretta sicuramente la trovi.”
“Tra un’ora mi sarà difficile. Posso lasciare detto a te?”
“Certamente.”
“Volevo avvisare Adele che Daniele viene da voi domani pomeriggio.”
“Bene.”
“Ah, senti, desideravo ringraziare anche te per la tua cortese disponibilità. io non avevo nessunissima intenzione di darvi tanto disturbo, ma è stata Adele a propormi questa soluzione momentanea ed ha insistito tanto che non ho saputo dirle di no.”
La facenna, dunque, era andata in modo canticchia diverso da come gli era stata presentata. E appena aveva visto il cosiddetto nipote, aveva capito il motivo per cui Adele se l’era accaparrato.
Era un beddro picciotto, Daniele, avuto, biunno, occhi azzurri, fisico da atleta. Indubbiamente con Adele aveva in comune un’ariata di famiglia. Ed era macari educato, discreto, riservato. Dato che ad Adele la chiamava zia, lui addiventò, di conseguenza, lo zio.
Evidentemente Daniele, mischino, non era però arrinisciuto a trovare una sistemazione decente pirchì erano mesi e mesi che sinni stava da loro e non gli passava manco per l’anticammara del cirivrddro di traslocare.
Sul perché la porta ora fosse sempre chiusa non ebbe il minimo dubbio fin dal momento che notò la cosa.
tuttavia ne volle conferma.
Un sabato, verso le tre di notte, si susì, andò nello studio e pigliò la chiave che teneva nel primo cascione della scrivania. Ma la chiave non trasiva interamente nella serratura della porta di comunicazione, urtava con un ostacolo. La spiegazione la trovò subito: Adele aveva chiuso la porta lasciandovi dentro la chiave o per abitudine o perché lui non fosse in grado di aprirla dalla sua parte.
Insistette un’ultima volta, cercando di fare la minima rumorata possibile. E tutto a un tratto la chiave non incontrò resistenza, penetrò tutta e lui potè aprire. La chiave di Adele era caduta per terra, sulla moquette del corridoio. Avanzò quatelosamente, alla luce di una lampada notturna che sua moglie voleva sempre accesa, aveva scanto dello scuro fitto. Tutte le porte erano chiuse. Accostò l’orecchio a quella della cammara di Daniele e sinni stette per un pezzo accussì. Non sentendo nisciuno suono, girò la maniglia e raprì canticchia: il letto del picciotto era intatto.
Ma non stava a significare nenti, capace che non era ancora rientrato. Allora caminò ancora e accostò l’orecchio alla cammara un tempo matrimoniale. Subito udì l’ansimare armalisco di lei inframmezzato dalla litania dei sì… sì… sì… e Daniele che le diceva:
“Voltati.”
Sinni tornò nel suo appartamento, lasciando la chiave per terra e chiudendosi la porta alle spalle.
Ecco perché gli era negato l’accesso domenicale: Adele si scantava di essere sorpresa ancora a dormire tra le braccia del suo giovanissimo amante. Che non russava, forse. O forse non ancora.
Comunque, scegliendo di avere in casa il mangime per il suo pititto, piuttosto che andarselo a cercare fora, lei aveva fatto una cosa di buonsenso. Non correva il pericolo di essere vista in qualche lordo alberghetto di periferia. Oppure, sempre affamata com’era, continuava ad avera una mangiatoia macari da qualche altra parte? Non era un’ipotesi da scartare.
Una sera , mentre stavano a taliare la televisione, le gli aveva spiato:
“Ti dispiace se per qualche tempo ospito un mio nipote che si è iscritto all’università?”
Era una domanda pro forma. Macari se avesse detto che gli dispiaceva, Adele se lo sarebbe pigliato in casa lo stesso, contandogli qualche fanfariata solenne.
“Hai un nipote?!”
“Oddio, non è un nipote nipote. Sai come siamo noi in Sicilia con le parentele. E’ il figlio di mia cugina Adriana che abita a Polizzi. Non te la ricordi? E’ venuta al nostro matrimonio. Sono andata a trovarla la settimana scorsa, te l’ho anche detto. Adriana mi ha esposto il suo problema e io che potevo fare?. Le ho detto che per poco tempo potevo ospitarlo. Il ragazzo si chiama Daniele. io ho una camera in più. Non mi darà nessun fastidio. Lo posso mettere lì, tanto sono sicura che con noi ci starà poco.”
“Chi te lo dice? Può darsi che si trovi così bene che …”
“Ma dai! Ha diciannove anni! Vorrà la sua libertà. Forse ha una fidanzatina che non oserebbe mai portare a casa nostra. Si dovranno contentare di farlo nella sua Cinquecento, poveracci. Comunque Adriana mi ha giurato che appena trova una sistemazione decente, suo sgombra.”
“Che studia?”
“Legge.”
“Quando arriva?”
“Ancora non lo so. Me lo telefonerà Adriana.”
Ogni appartamento era dotato di una linea telefonica propria. Un martedì sera, che era appena tornato dalla banca, sentì squillare il telefono dello studio. Era Adriana, la cugina di sua mogliere, chiamava da Polizzi.
“Scusami se ti disturbo, ma ho cercato Adele tutto il giorno e non sono mai riuscita a trovarla. Tu hai idea di dove possa essere?”
“No, ma se chiami di là tra un’oretta sicuramente la trovi.”
“Tra un’ora mi sarà difficile. Posso lasciare detto a te?”
“Certamente.”
“Volevo avvisare Adele che Daniele viene da voi domani pomeriggio.”
“Bene.”
“Ah, senti, desideravo ringraziare anche te per la tua cortese disponibilità. io non avevo nessunissima intenzione di darvi tanto disturbo, ma è stata Adele a propormi questa soluzione momentanea ed ha insistito tanto che non ho saputo dirle di no.”
La facenna, dunque, era andata in modo canticchia diverso da come gli era stata presentata. E appena aveva visto il cosiddetto nipote, aveva capito il motivo per cui Adele se l’era accaparrato.
Era un beddro picciotto, Daniele, avuto, biunno, occhi azzurri, fisico da atleta. Indubbiamente con Adele aveva in comune un’ariata di famiglia. Ed era macari educato, discreto, riservato. Dato che ad Adele la chiamava zia, lui addiventò, di conseguenza, lo zio.
Evidentemente Daniele, mischino, non era però arrinisciuto a trovare una sistemazione decente pirchì erano mesi e mesi che sinni stava da loro e non gli passava manco per l’anticammara del cirivrddro di traslocare.
Sul perché la porta ora fosse sempre chiusa non ebbe il minimo dubbio fin dal momento che notò la cosa.
tuttavia ne volle conferma.
Un sabato, verso le tre di notte, si susì, andò nello studio e pigliò la chiave che teneva nel primo cascione della scrivania. Ma la chiave non trasiva interamente nella serratura della porta di comunicazione, urtava con un ostacolo. La spiegazione la trovò subito: Adele aveva chiuso la porta lasciandovi dentro la chiave o per abitudine o perché lui non fosse in grado di aprirla dalla sua parte.
Insistette un’ultima volta, cercando di fare la minima rumorata possibile. E tutto a un tratto la chiave non incontrò resistenza, penetrò tutta e lui potè aprire. La chiave di Adele era caduta per terra, sulla moquette del corridoio. Avanzò quatelosamente, alla luce di una lampada notturna che sua moglie voleva sempre accesa, aveva scanto dello scuro fitto. Tutte le porte erano chiuse. Accostò l’orecchio a quella della cammara di Daniele e sinni stette per un pezzo accussì. Non sentendo nisciuno suono, girò la maniglia e raprì canticchia: il letto del picciotto era intatto.
Ma non stava a significare nenti, capace che non era ancora rientrato. Allora caminò ancora e accostò l’orecchio alla cammara un tempo matrimoniale. Subito udì l’ansimare armalisco di lei inframmezzato dalla litania dei sì… sì… sì… e Daniele che le diceva:
“Voltati.”
Sinni tornò nel suo appartamento, lasciando la chiave per terra e chiudendosi la porta alle spalle.
Ecco perché gli era negato l’accesso domenicale: Adele si scantava di essere sorpresa ancora a dormire tra le braccia del suo giovanissimo amante. Che non russava, forse. O forse non ancora.
Comunque, scegliendo di avere in casa il mangime per il suo pititto, piuttosto che andarselo a cercare fora, lei aveva fatto una cosa di buonsenso. Non correva il pericolo di essere vista in qualche lordo alberghetto di periferia. Oppure, sempre affamata com’era, continuava ad avera una mangiatoia macari da qualche altra parte? Non era un’ipotesi da scartare.
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