dipinto di Susan Ryder
da “Gli
arancini di Montalbano” – Andrea Camilleri
Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un
ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico.
Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la
ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti
uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro,
sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello
che chiamano alla milanìsa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a
una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini,
si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e
si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna
(nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col
risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo
d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e
si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa
rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato.
Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si
fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano
scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!
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