(…)
Due sere prima del
cessate il fuoco nella guerra delle città, alcuni amici vennero a casa nostra
per vedere Mogambo di John Ford. Adesso Forsati si presentava spesso con una cassetta.
Un giorno mi aveva seguito in silenzio in ufficio per darmi in un pacchetto
Big, con il suo adorato Tom Hanks. Da allora mi aveva portato diversi film
americani di serie B, o anche C. Girava voce che gli integralisti se li
procurassero dai marinai di servizio nel Golfo Persico, che potevano vedere
film proibiti e spesso e volentieri li contrabbandavano a terra. Dopo un po’
cominciai a chiedergli qualche classico, come Jules e Jim e Tempi moderni,
oppure Howard Hawks, John Ford, Bunuel, Fellini. Lui non li aveva mai sentiti nominare,
e all’inizio ebbe difficoltà a trovarli, forse perché non erano fra i
prediletti dai marinai. Ma un giorno si presentò con una copia di Mogambo.
Disse che era un regalo.
Non avrebbe mai
pensato di innamorarsi di un vecchio film, eppure era successo; e secondo lui
sarebbe piaciuto anche a me.
Quella sera ci fu un
blackout di parecchie ore. Restammo seduti a lume di candela a parlare e bere
Visnovka, una vodka alla ciliegia fatta in casa, con il contrappunto di qualche
lontana esplosione. La sera successiva arrivò l’annuncio che l’Iraq era pronto
ad accettare un cessate il fuoco a condizione di poter lanciare l’ultimo
missile. Come in una lite fra due ragazzini.
Il cessate il fuoco
durò soltanto due giorni. Molte persone, sicure che avrebbe tenuto un po’ di
più, erano già tornate a Teheran. I negozi restarono aperti fino a tardi e le
strade erano piene di gente che faceva acquisti per l’ultimo dell’anno. Poche
ore prima che l’Iraq rompesse il cessate il fuoco avevo scommesso con un amico
sulla sua durata. Ormai puntavamo su qualsiasi cosa: su quanti missili
sarebbero caduti sulla città, su dove sarebbero caduti e quando. Forse era un
passatempo macabro, ma aiutava ad alleggerire la tensione.
Gli attacchi
ripresero un lunedì, alle dieci e mezza di sera. Ora di martedì mattina, su Teheran
erano già caduti sei missili. Molti di coloro che erano appena tornati
ripartirono; l’improvviso silenzio calato sulla città era interrotto soltanto
dalle marce militari che rimbombavano per le strade dagli altoparlanti delle
moschee, degli uffici del governo, delle sedi del Comitato rivoluzionario e
anche dalle case. A loro volta, le marce erano interrotte da «importanti
annunci» di attacchi missilistici su Bagdad e nuove vittorie sul «nemico
sionista-imperialista». Si presumeva che quei «trionfi della luce sulle
tenebre», o anche il solo pensiero che gli iracheni non se la passavano meglio
di noi, ci tirassero su il morale.
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