6 dicembre 2018

da “Cronache di un gatto viaggiatore” - Hiro Arikawa

da “Cronache di un gatto viaggiatore” - Hiro Arikawa

A ogni modo, il cofano di quella station wagon era il mio giaciglio preferito. Durante il mio primo inverno quel cofano piacevolmente intiepidito dal sole era un ottimo sistema di riscaldamento e un tesoro prezioso per i sonnellini pomeridiani.
Dopo un po’ è arrivata la primavera e io, grazie al cielo, avevo superato indenne un’intera stagione. Per un gatto essere nato in primavera è una grande benedizione. Le stagioni dell’amore corrispondono generalmente alla primavera e all’autunno, ma la maggior parte dei gattini nati in autunno non riesce a superare l’inverno.
Un giorno, mentre me ne stavo accoccolato sul cofano al calduccio, ho improvvisamente avvertito il disagio di essere osservato. Ho aperto una fessura tra le palpebre e… Un giovane alto e dinoccolato mi stava guardando dormire, con gli occhi talmente strizzati dal sorriso che quasi non si vedevano.
«Ma tu dormi sempre qui sopra?»
Perché, hai qualcosa da ridire?
«Come sei carino!»
Eh già, me lo dicono spesso.
«Posso toccarti?»
Eh no! Spiacente, ma non se ne parla. Fssss! L’ho minacciato sollevando leggermente la zampa anteriore, e lui ha messo il broncio per la mia avarizia di moine. Ma che pretendi? Se mentre stai dormendo venisse uno a palpeggiarti, anche a te darebbe fastidio, no?
«Mi sa che senza niente in cambio non ti concedi, eh?»
Oh, lo vedi che sei uno che capisce? Se vieni qui a disturbarmi il pisolino, almeno devi darmi una qualche ricompensa.
Ho alzato appena appena la testa per guardare, e lui ha cominciato a frugare dentro la busta del konbini che aveva appesa al braccio.
«Non ho comprato molte cose che possano andar bene per un gatto…»
Ma a me va bene qualunque cosa, sai? Sono un randagio, per cui non faccio mica lo schizzinoso, io! Quelle capesante, per esempio! Non vanno bene quelle?
Mi sono allungato per annusare il pacchetto che faceva capolino dalla busta e il tizio mi ha dato una botta in testa facendosi una risatina.
Ehi, non vale! È una falsa partenza!
«Non ci provare, queste qui ti fanno male. E poi sono pure piccanti.»
E che ti frega se mi fanno male? Ti vuoi forse preoccupare della salute di un randagio che non sa nemmeno se domani ci sarà ancora? È più importante che ora, in questo stesso istante, mi riempi la pancia!
Alla fine il ragazzo ha tirato fuori una cotoletta da un sandwich, le ha tolto la panatura e me l’ha offerta sul palmo della mano.
Vuoi che mangi direttamente da lì? Ah, ho capito, hai intenzione di accorciare le distanze. Però… non mi capita tanto spesso di mangiare carne fresca e appetitosa come questa, perciò posso anche scendere a un compromesso.
Mentre sgranocchiavo la cotoletta, ho sentito delle dita affondare sul mio collo e poi risalire lentamente verso le orecchie. Era la mano destra libera del ragazzo, che ha proseguito dandomi una grattatina delicata. Agli esseri umani che mi danno da mangiare concedo qualche breve toccatina, ma questo qua ci sapeva proprio fare.
Se vieni un po’ più vicino puoi anche farmi il solletico sotto il collo: non ti dico niente.
Ho strusciato la testa facendola scivolare sotto la mano dell’uomo e, voilà, ho iniziato a puntare la seconda cotoletta: un gioco da ragazzi.
«Ma così diventa un sandwich solo alla verza!»
Con una risatina il ragazzo ha preso anche l’ultima cotoletta, togliendo la panatura prima di porgermela.
Veramente non è che mi dispiaccia se gliela lasci, quella panatura. Anzi, con quella sì che mi si riempirebbe per bene la pancia! Per l’offerta fatta ti ho concesso di accarezzarmi a tuo piacimento, ma ora basta: la festa è finita.
Un istante prima che sollevassi la zampa anteriore per scacciarlo, lui ha ritirato la mano e se n’è andato via dicendomi: «Ci vediamo!». È andato dritto verso il palazzo ed è salito su per le scale.
Però! Ha pure un tempismo perfetto!
E questo è stato il nostro primo incontro; il nome, invece, me lo ha dato un po’ di tempo dopo.

Traduzione dal giapponese di Daniela Guarino

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