6 dicembre 2018

da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

Abraham Brueghel - Stilleven Met Vruchten
da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

Questo senso di vuoto che lamentano sia Hemingway sia Williams potrebbe avere a che fare con la tendenza maschile a mangiare il proprio simile. “No, della tua carne mi ciberò” scriveva un poeta elisabettiano, creando le premesse per secoli di metafore come pelle di panna, guance di pesca e labbra di ciliegia, uno stile letterario rivisitato più tardi da Margaret Atwood nel suo romanzo Una donna da mangiare, in cui la padrona di casa prepara al marito un dolce simile al suo corpo, cosicché questi possa saziarsene a proprio piacimento. Il marchese de Sade, il famoso scrittore del XVIII secolo le cui ossessioni per la sofferenza, l’amore e il cibo ci hanno tramandato il termine sadismo, avrebbe condiviso questa teoria. La sua opera Le 120 giornate di Sodoma è l’esempio più rappresentativo del genere mangiamo-le-ragazze. C’è un passo in cui due trovatelli, legati, vengono messi davanti a un pasto succulento e, non potendone prendere neanche un boccone, finiscono per divorarsi l’un l’altro. La carne umana, si dice, è il più potente degli afrodisiaci; ma il marchese suggerisce una prima colazione essenziale: una semplice omelette calda, servita sulle natiche di una donna nuda e mangiata con “una forchetta estremamente appuntita”.

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