Fenice
(…)
Ci battemmo per ore,
intorno a quell'uomo che se ne stava ormai nella polvere, immemore di carri e
cavalli e di tutto ciò che era stata la sua vita. Quando alla fine riuscimmo a
spingere indietro i Troiani, alcuni di noi presero il corpo e lo trascinarono
lontano dalla mischia, per spogliarlo. Ma Patroclo rimase nel cuore della
battaglia. Non era più possibile fermarlo. Per tre volte si lanciò sui Troiani,
gridando con una voce terribile, e nove uomini uccise. Ma quando per la quarta volta
si lanciò, simile a un dio, allora, Patroclo, tutti vedemmo apparire
d'improvviso la fine della tua vita. Fu Euforbo a colpirti alle spalle, in
mezzo alla schiena. arrivò sul carro, facendosi largo nella mischia, c'era
polvere dappertutto, un'enorme nube di polvere, non lo vedesti arrivare,
comparve come dal nulla, d'improvviso, alle tue spalle, e tu non potevi
vederlo, io lo vidi, da vicino ti piantò la lancia nella schiena... te lo
ricordi Euforbo, Patroclo, ti ricordi che lo vedevamo in battaglia e commentavamo
la sua bellezza, i suoi capelli, lunghi sulle spalle, non era di tutti il più
bello?... Ti colpì in mezzo alla schiena, e poi, subito, se ne scappò,
andandosi a nascondere fra i suoi, per la paura di quello che aveva fatto.
Patroclo rimase
immobile, stupefatto. Gli occhi rovesciati all'indietro, le gambe che ancora
reggevano il corpo così bello, ma non lo sentivano più. Mi ricordo la testa, rimbalzare
avanti, dopo il colpo, e l'elmo cadere nella polvere, quell'elmo, mai avrei pensato
di vederlo insozzato di polvere e sangue, per terra, l'elmo che copriva la testa
e il volto bellissimo di Achille, uomo divino, lo vidi rotolare per terra, tra
le zampe dei cavalli, nella polvere, e nel sangue.
Patroclo fece qualche
passo, cercava qualcosa che lo potesse nascondere o salvare.
Non voleva morire.
Intorno a lui tutto si era fermato. Certe morti sono dei riti, ma voi non
potete capire. Nessuno fermò Ettore quando gli si avvicinò. Questo non lo potete
capire. Nella mischia gli andò vicino, senza che nessuno di noi sapesse fermarlo,
arrivò a un passo da lui e poi con la lancia, gli trapassò il ventre. E
Patroclo crollò a terra. Tutti noi lo vedemmo, questa volta, crollare a terra.
E poi Ettore, chinarsi su di lui, guardarlo negli occhi, e parlargli, in
quell'agghiacciante silenzio.
"Patroclo, tu
credevi di venir qui e distruggere la mia città, vero?, ti immaginavi di tornartene
a casa con la nave piena di donne e ricchezze troiane. Adesso sai che Troia è difesa
da uomini forti, e che il più forte di loro si chiama Ettore. Tu ormai non sei
più niente, sei cibo per avvoltoi. Non ti sarà di grande aiuto, il tuo amico
Achille, per quanto forte. E lui, vero?, che ti ha mandato qui, è lui che ti ha
detto `Non tornare Patroclo fino a quando non avrai squarciato il petto e
insanguinato la tunica di Ettore'. E tu, stupido, lo sei stato a sentire."
Stava morendo,
Patroclo. Ma trovò ancora la forza di parlare. "Puoi vantarti, adesso, Ettore,
perché mi hai vinto. Ma la verità è che morire era il mio destino. Gli dei mi hanno
ammazzato, e tra gli uomini, Euforbo, per primo. Tu, che adesso mi finisci, sei
solo il terzo, Ettore. Sei solo l'ultimo di coloro che mi hanno ucciso. E
adesso ascoltami, e non dimenticare quello che ho da dirti. Tu sei un morto che
cammina, Ettore. Niente ti strapperò di dosso il tuo destino orrendo. Quella
poca vita che hai ancora, verrà Achille e te la strapperò."
Poi il velo della
morte lo avvolse. L'anima volò via e se ne andò all'Ade, piangendo la forza e
la giovinezza perdute.
Ettore puntò il piede
sul petto di Patroclo ed estrasse dalla ferita la lancia di bronzo. Il corpo si
Sollevò e poi, lacerato, ricadde, nella polvere. Ettore rimase li a guardarlo. Disse
qualcosa a bassa voce. Poi, come preso da una furia, fece per scagliarsi su Automedonte,
l'avrebbe ucciso ma se lo portarono via, i cavalli veloci, i cavalli che gli dei
diedero ad Achille, se lo portarono via dagli artigli di Ettore, dalla sua
rabbia e dalla morte.
Io morii due anni
dopo, durante il viaggio in cui cercavo di tornare a casa, da Troia. Fu
Neottolemo a bruciare il mio cadavere. Era il figlio di Achille. Adesso le mie
ossa riposano in una terra di cui neanche so il nome. Forse è giusto che sia
finita così. Tanto non sarei mai riuscito a tornare veramente da laggiù, da
quella guerra, da quel sangue, e dalla morte di due ragazzi che io non ho
saputo salvare.
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