13 aprile 2018

Faccio girar le mie braccia - Pablo Neruda

opera di Aldo Balding
Faccio girar le mie braccia - Pablo Neruda

Faccio girar le mie braccia come due pale impazzite…
Nella notte tutta di metalli azzurri.

Verso dove le pietre non giungono e non ritornano.
Verso dove i fuochi oscuri si confondono.
Ai piedi delle muraglie che il vento immenso abbraccia.
Correndo verso la morte come un grido verso l’eco.

Il lontano, là dove non v’è altro che la notte
e l’onda del disegno, la croce dell’anelito.
Vien voglia di gemere il più lungo singhiozzo.
Bocconi davanti al muro che sferza il vento immenso.

Ma voglio camminare oltre quell’orma:
voglio sconvolgere quegli astri di fuoco:
ciò ch’è la mia vita e sta oltre la mia vita,
ciò che è d’ombre dure, di nulla, di lungi,
voglio ribellarmi nelle ultime catene che mi leghino,
eretto su questo spavento, in quest’onda di vertigine,
e getto le mie tremule verso questo nero paese,
solo, sulla vetta dei monti,
solo come il primo morto,
rotolando impazzito, preda del cielo oscuro
che guarda immensamente, come il mare nei porti.

Qui, la regione del mio cuore,
colma di gelido pianto, bagnata di sangue tiepido.
Sento da esso saltar le pietre che mi annunciano.
Vi danza il presagio del fumo e della nebbia.
Tutto di vasti sogni caduti goccia a goccia.
Tutto di furie, d’onde, di maree vinte.

Ah, il mio dolore, amici, non è più dolore umano,
Ah, il mio dolore amici, non sta più nella mia vita.
E in esso faccio vibrare le fionde che van sconvolgendo le stelle!

E in esso s’innalzano le mie pietre nella notte nemica!
Voglio aprire nei muri una porta. Questo voglio.
Questo desidero. Invoco. Grido. Piango. Desidero.
Sono il più prudente e il più debole. Lo voglio.
Ciò ch’è lontano, là dove ormai non v’è più che la notte.

Ma le mie fionde girano. Sono. Grido. Desidero.
Astro per astro, tutti porranno in fuga in schegge.
La mia forza è il mio dolore, nella notte. Lo voglio.
Aprirò quella porta. La passerò. La vincerò.
Vi arriveranno le mie pietre. Grido. Piango. Desidero.

Soffro, soffro e desidero. Desidero, soffro e canto.
Fiume di vecchie vite, la mia voce scaturisce e si perde.
Torce e distorce lunghe collane atterrite.
Si gonfia come una vela nel vento celeste.
Rosario dell’angoscia, non son io a recitarlo.
Filo disperato, non son io che lo torco.
Lo scatto della spada malgrado le braccia.
L’annuncio in stelle della notte che viene.
Son io: ma è la mia voce l’esistenza che nascondo.
Il temporale di ululati e di lamenti di febbri.
La dolorosa sete che fa prossima l’acqua.
La risacca invincibile che mi trascina alla morte.

Allora il mio braccio gira, e la mia anima scintilla.
S’arrampicano i tremori sulla croce delle mie ciglia.
Ecco le mie braccia fedeli! Ecco le mie mani avide!
Ecco la notte assorta! La mia anima grida e desidera!
Ecco i pallidi astri tutti pieni di enigma!
Ecco la mia seta che ulula sulla mia voce ormai morta!
Ecco gli alvei pazzi che fan girare le mie fionde!
Le voci infinite che preparano la mia forza!
E piegano in un grido di aneliti infiniti,
nella notte infinita, getto e s’innalzano le mie pietre.

Al di là di quei muri, di quei limiti, lontano.
Devo superare i confini della luce e dell’ombra.
Perché non debbo essere io? Grido. Piango. Desidero.
Soffro., soffro e desidero. Tendo e ronzano le mie fionde.
Il viandante che allungherà il suo viaggio senza ritorno.
Il fromboliere che infrangerà la fronte dell’ombra.
Le pietre entusiaste che faran partorire la notte.
La freccia, la scintilla, la scure, la prua.

Grido. Soffro. Desidero. Allora il mio braccio si alza,
verso la notte piena di stelle sconfitte.

Ecco la mia voce estinta. Ecco la mia anima caduta.
I vani sforzi. La sete ferita e infranta.
Ecco le mie agili pietre che tornano e mi colpiscono.
Le alte luci bianche che danzano e si estinguono.
Le umide stelle assolute e assorte.
Ecco e stesse pietre che sollevò la mia anima in combattimento.
Ecco la stessa notte da dove ritornano.

Sono il più dolente e il più debole. Desidero.
Desidero, soffro, cado. Il vento immenso sferza!
Ah, il mio dolore, amici, non è più dolore umano!
Ah, il mio dolore, amici, non sta più nell’ombra!
Nella notte, tutta astri freddi ed erranti,
faccio girar le mie braccia come due pale impazzite.

trad. Giuseppe Bellini

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