Felice Casorati - Ragazza in collina (Ragazza di Pavarolo), 1929
da “La lupa” – Giovanni Verga
La Lupa era quasi
malata, e la gente andava dicendo che il diavolo quando invecchia si fa
eremita. Non andava più di qua e di là; non si metteva più sull'uscio, con
quegli occhi da spiritata. Suo genero, quando ella glieli piantava in faccia,
quegli occhi, si metteva a ridere, e cavava fuori l'abitino della Madonna per
segnarsi. Maricchia stava in casa ad allattare i figliuoli, e sua madre andava
nei campi, a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo, a sarchiare, a
zappare, a governare le bestie, a potare le viti, fosse stato greco e levante
di gennaio, oppure scirocco di agosto, allorquando i muli lasciavano cader la
testa penzoloni, e gli uomini dormivano bocconi a ridosso del muro a
tramontana. In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina
buona, la gnà Pina era la sola anima viva che si vedesse errare per la
campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie riarse dei campi
immensi, che si perdevano nell'afa, lontan lontano, verso l'Etna nebbioso, dove
il cielo si aggravava sull'orizzonte.
“Svegliati!”
disse la Lupa a Nanni che dormiva nel
fosso, accanto alla siepe polverosa, col capo fra le braccia. “Svegliati, ché
ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola.” Nanni spalancò gli occhi
imbambolati, tra veglia e sonno, trovandosela dinanzi ritta, pallida, col petto
prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e stese brancolando le mani. “No!
non ne va in volta femmina buona nell'ora fra vespero e nona!” singhiozzava
Nanni, ricacciando la faccia contro l'erba secca del fossato, in fondo in
fondo, colle unghie nei capelli. “Andatevene! andatevene! non ci venite più
nell'aia!” Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe,
guardando fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri
come il carbone.
Ma nell'aia ci
tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla. Quando tardava a venire
anzi, nell'ora fra vespero e nona, egli andava ad aspettarla in cima alla
viottola bianca e deserta, col sudore sulla fronte - e dopo si cacciava le mani
nei capelli, e le ripeteva ogni volta: “Andatevene! andatevene! Non ci tornate
più nell'aia!”
Maricchia piangeva notte e giorno, e alla
madre le piantava in faccia gli occhi ardenti di lagrime e di gelosia, come una
lupacchiotta anch'essa, allorché la vedeva tornare da' campi pallida e muta
ogni volta. - Scellerata! - le diceva. “Mamma scellerata!” “Taci!” “Ladra!
ladra!” “Taci!” “Andrò dal brigadiere, andrò!” “Vacci!” E ci andò davvero, coi
figli in collo, senza temere di nulla, e senza versare una lagrima, come una
pazza, perché adesso l'amava anche lei quel marito che le avevano dato per
forza, unto e sudicio delle olive messe a fermentare.
Il brigadiere
fece chiamare Nanni; lo minacciò sin della galera e della forca. Nanni si diede
a singhiozzare ed a strapparsi i capelli; non negò nulla, non tentò di scolparsi.
“È la tentazione!” diceva; “ è la tentazione dell'inferno!” Si buttò ai piedi
del brigadiere supplicandolo di mandarlo in galera. “Per carità, signor
brigadiere, levatemi da questo inferno! Fatemi ammazzare, mandatemi in
prigione! non me la lasciate veder più, mai! mai!” “No!” rispose invece la Lupa al brigadiere “Io mi son riserbato un cantuccio della
cucina per dormirvi, quando gli ho data la mia casa in dote. La casa è mia; non
voglio andarmene.”
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