5 dicembre 2018

da “Cronache di un gatto viaggiatore” - Hiro Arikawa

da “Cronache di un gatto viaggiatore”- Hiro Arikawa

«Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho.»
Pare lo abbia detto un gatto importante che viveva in questo paese. Non so quanto importante fosse, ma almeno in una cosa lo batto di certo: perché io un nome invece ce l’ho.
Che poi mi piaccia o no, è un altro discorso. Il fatto è che trovo oltraggioso che mi sia stato dato un nome che non si addice affatto al mio sesso. Me lo sono beccato all’incirca cinque anni fa, proprio nel periodo in cui ho raggiunto l’età adulta. Infatti, anche se ci sono varie teorie sul come convertire l’età felina in età umana, tutte sono concordi nel considerare genericamente un gatto di un anno come un uomo di venti.
All’epoca il mio posto preferito per dormire era sopra il cofano di una station wagon color argento che stava nel parcheggio di una palazzina. Mi piaceva dormirci perché da lì non venivo scacciato con umilianti «sciò! sciò!». Le creature chiamate esseri umani, pur essendo nient’altro che grosse scimmie capaci di camminare dritte, sono terribilmente arroganti. Prima lasciano le auto sotto le intemperie e poi guai se un gatto ci passa sopra: ma che diavolo hanno in testa? Noi gatti ce ne possiamo andare tranquilli in lungo e in largo per tutte le strade del mondo! Se però per errore lasciamo un’impronta sul cofano di una macchina, allora il proprietario si strappa i capelli e viene a scacciarci.

Traduzione dal giapponese di Daniela Guarino

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