Francesco
Montemurro, La cantina di via Occidentale, Edigrafema Edizioni 2018
…Spagnoli, francesi o piemontesi,
per noi le cose vanno sempre
bene!...
Recentemente
ho avuto modo di leggere il romanzo di Francesco Montemurro “La cantina di via
Occidentale”. Una piacevole sorpresa! Letture scorrevole, leggera, ironica, con
diversi detti dialettali e dialoghi tra comari che da una parte dicono e
dall’altra contraddicono.
Godibile
la lettura della corrispondenza tra i vari uffici, e i verbali redatti, che si
occupano del caso narrato, un tentativo di avvelenamento ai danni della matrona
dei una delle famiglie più potenti del paesino di Collevigna (Bernalda).
Lo
scambio delle missive, oltre a tratteggiare la pedante solerzia dei rappresentanti
delle giustizia, rivela l’alterigia di chi gestisce il potere e
la vicinanza dello stesso ai potenti aggiustando i verbali delle dichiarazioni,
non senza rinunciare all’ostentazione del ruolo che i singoli ricoprono: «…
Lauretta cara, non mi devi creare imbarazzo … svolgo il ruolo di Giudice
Istruttore e devo fare le cose per bene, come Dio comanda, cioè come la legge
di Sua Maestà comanda!» dice il vice pretore alla vittima del veneficio, «Ma non
sei filo borbonico? ‘Sti piemontesi traditori ci volevano a sciacquarti la
testa…», «Ecco, lo vedi? Vedi Laure’, queste cose le devi tenere per te, ora
non servono. Spagnoli, francesi o piemontesi, per noi le cose vanno sempre
bene!...», :«Come minacciata? Volete forse dire che la confessione fu indotta
con minacce? E no, speriamo di no… altrimenti un qualsiasi avvocaticchio
farebbe saltare in aria le prove dell’accusa».
L’arroganza
del potere la si riscontra anche tra i livelli più bassi, è il caso del
guardiacaccia Marcello Gambatesa.
I
personaggi adeguatamente tratteggiati paiono una galleria di incisioni d’epoca
senza coloro appesi alla parete di un’antica residenza. Ma mano che si sfogliano
le pagine lo scrittore lo scrittore li descrive, e allora escono dalle cornici,
per prendere posto nella vicenda narrata. Alcuni sembrano colorarsi: Annarella,
l’avvocato Marinelli, Guido Della Corte, il negoziante Pietro Albanese, altri –
i più – rimangono bui fino all’ultima pagina proprio come le acqueforti
attaccate al muro: Carmela la serva cattiva, la padrona/matrona Laura Pinto,
innocente per diritto, il figlio Giovanni, il distratto questore, il
vicequestore.
Pur
nella leggerezza l’autore rimarca le differenze sociali molto nette dell’epoca:
i padroni da una parte, i miserabili dall’altra, con in mezzo la nascente
piccola borghesia e gli apparati burocratici quasi sempre pronti a ingraziarsi
i potenti; la protervia dei padroni sui servi cui è negato anche il diritto di
parola. I servi, quasi schiavi, sono i destinatari della magnanimità dei
padroni per il solo fatto che si offre loro un pagliericcio di foglie secche e
gli avanzi dei pasti per cibo. Spesso sospettati di ogni malefatta possibile:
l’acqua delle scale è sporca, stava troppo vicino alle salsicce. Certo, la
serva Carmela D’Esposito i dispetti li fa, ma se lo può permettere
abbondantemente visto il terribile segreto di cui è depositaria.
Non
mancano le invidie tra le serve. La bellezza è quasi sempre una colpa. In altri
tempi l’invidia per la bellezza poteva preludere alla condanna al rogo.
Vi
è il sussiego interessato dei popolani verso i proprietari: «Vatti a fidare
della gente, e poi le avete e una casa e pure da mangiare! Quanta
ingratitudine!», esprime così la vicinanza alla vittima del fallito veneficio
una venditrice di ghiande alludendo all’autrice materiale del tentativo; per
poi blandire sussurrando alla stessa: «Eh, non t’ pigghiànn’ velen’, ha fatt’
bbùon, Donna Lauretta è ‘na streg’!Ha fatt bbùon’» (Non ti preoccupare, hai
fatto bene).
Non
trascurabili le piccole diatribe dei galantuomini del circolo, degli inquilini
della cantina di via Occidentale e tra i vari uffici, sebbene velatamente.
Infine
il processo celebrato nelle intenzioni degli accusatori per mera formalità date
le prove ritenute schiaccianti a carico delle imputate. Un processo inutile
perché nessuno si è preso la briga di leggere con la dovuta attenzione la
perizia ordinata dal pretore. Tutti distratti nelle faccende della vita privata
o dalla vanità. La perizia, quindi, Non la legge lo stesso pretore, né il
vicepretore, né il giudice, né il pubblico ministero. La legge per fortuna
l’avvocato difensore. Ma quante volte in quel periodo sono state condannati
degli innocenti, dei poveracci che non ebbero la fortuna di avere un bravo
avvocato?
L’avvocato
Marinelli evita una pesante condanna ad Anna. Si sottace alla giustizia il vero
delitto, quello perpetrato dalla padrona-matrona e dalla serva senza scrupoli.
L’autore
ci regala Una storia dalla lettura scorrevole, piacevolmente lieve e nel contempo
ci regala immagini di un passato che ha segnato i nostri paesi, la cui eco non
si è ancora spenta tra i vicoli e le strade testimoni di nomi e fatti. Un libro
che consiglio di leggere.
Buona
lettura!
1 aprile 2020
Enzo
Montano
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