3 novembre 2017

Fonte – Federico Garcia Lorca

Cuneo, castello della Manta - Fontana della giovinezza
Fonte – Federico Garcia Lorca
(FRAMMENTO)

L'ombra dorme sul prato.
Le fonti cantano.
Di fronte all'ampio crepuscolo invernale
il mio cuore sognava.
Chi potrebbe capire le fonti,
il segreto dell'acqua
appena nata, questo canto occulto
a tutti gli sguardi
dello spirito, dolce melodia
al di là delle anime... ?

Lottando sotto il peso dell'ombra,
cantava una fonte.
Mi accostai per sentire il suo canto
ma il mio cuore non sente nulla.

Era uno sgorgare di stelle invisibili
sopra l'erba casta,
nascita del Verbo della terra
da un sesso immacolato.

Il mio pioppo centenario del piano
agitava le foglie
ed erano foglie tremule di tramonto
come stelle d'argento,
Riassunto di un cielo d'estate
era il grande pioppo.
Tranquille
e piene di Penombra sentivo
le canzoni dell'acqua.

Che alfabeto d'aurore ha composto
le sue oscure parole?
Quali labbra le pronunciano? E che cosa dicono
alla stella lontana?
Il mio cuore è cattivo, Signore! Sento nella carne
l'implacabile brace
del peccato. I miei mari interiori
sono rimasti senza spiagge.
Il tuo faro s'è spento! Già li illumina
di fiamme il mio cuore!
Ma il nero segreto della notte
e il segreto dell'acqua
sono misteri solo per l'occhio
della coscienza umana?
La nebbia del mistero non agita
l'albero, l'insetto e la montagna?
Il terrore dell'ombra non lo sentono
le pietre e le piante?
È un suono così solitario la mia voce?
E la casta fonte non dice nulla?

Ma io sento nell'acqua
qualcosa che mi commuove.... come un'aria
che agita i rami della mia anima.

Sii albero!
(Disse una voce lontana.)
E ci fu un torrente di stelle
sul cielo senza macchia.

M'incastrai nel pioppo centenario
con tristezza e con ansia.
Come una Dafne maschia che fugge timorosa
di un Apollo d'ombra e di nostalgia.
Il mio spirito si è fuso con le foglie
e il mio sangue diventò linfa.
In resina untuosa si mutò
la fonte delle mie lacrime.
Il cuore scese nelle radici
e la passione umana,
ferendomi la rude carne,
mi abbandonava.

Di fronte all'ampio crepuscolo d'inverno
torcevo i rami
godendo i ritmi sconosciuti
tra la brezza gelata.

Sentii sulle braccia dolci nidi,
carezze d'ali,
e sentii mille api campagnole
che ronzavano tra le mie dita.
Avevo un'arnia d'oro
nei vecchi visceri!
Il paesaggio e la terra si cancellarono,
restava solo il cielo,
e ascoltai il debole rumore degli astri
e il respiro delle montagne.

Non potranno capire le mie dolci foglie
il segreto dell'acqua?
Le mie radici toccheranno il regno
dove nasce e si fissa?
Piegai i miei rami verso il cielo
che l'onda ripeteva,
bagnai le foglie nel diamante
cristallino azzurro che canta,
e sentii mormorare le fonti
come io umano lo sento.
Era lo stesso fluire pieno di musica
e di scienza ignorata.

Sollevando le mie braccia gigantesche
di fronte all'azzurro, ero
pieno di spessa nebbia, di rugiada
e di luce appassita.

Ebbi la grande tristezza vegetale,
il desiderio delle ali.
Per potermi gettare nel vento
fino alle stelle bianche.
Ma il mio cuore nelle radici
triste mi mormorava:
«Se non capisci le fonti,
muori e spezza i tuoi rami!»

Signore, strappami dal suolo! Ascoltami
perché capiscano le acque!
Dammi una voce che per amore strappi
il suo segreto alle onde incantate,
per accendere il suo faro chiedo solo
olio di parole.

«Sii usignolo!» dice una voce perduta
nella morta distanza,
e un torrente di stelle infuocate
sgorgò dal seno della notte.
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1919

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