dipinto di Fabian Perez
Monogramma V – Odissea Elitis
Di te ho parlato in tempi lontani
Con esperte nutrici e vecchi partigiani
Perché mai questa tristezza di bestia selvaggia
Sul volto il riverbero d’acqua tremante
E perché mai venirti vicino
Se non voglio l’amore ma il vento
Se dell’alto mare aperto voglio il galoppo
E di te nessuno sapeva niente
Di te né il dittamo né il fungo
Sulle alture di Creta niente
Solo per te Dio accettò di guidarmi la mano
Più vicino, più lontano, con cura su tutto l’arco
Della sponda del volto, i seni, i capelli
Fluttuanti a sinistra sul colle
Il tuo corpo nella posizione del pino solitario
Occhi di fierezza e di trasparenti profondità
Dentro la casa con la vecchia credenza
I gialli merletti e il legno di cipresso
Da solo ad aspettare la tua prima apparizione
In alto nella loggia o dietro sul lastricato del cortile
Con il cavallo del Santo e l’uovo della Resurrezione
Come uscita da un affresco in rovina
Grande quanto ti volle la breve vita
Per contenere nel piccolo cero lo stentoreo bagliore del vulcano
Di te nessuno ha visto né sentito
Niente di te nelle case distrutte o nei deserti
Neppure l’avo sepolto lungo il muro di cinta
Di te neppure la vecchia con tutte le sue erbe
Di te soltanto io, forse, e la musica
che da me scaccio ma sempre più forte ritorna
Di te del tuo seno acerbo di dodicenne
Proteso sul futuro con il rosso cratere
Di te l’odore amaro che come uno spillo
Penetra nel corpo e punge il ricordo
Ed ecco i campi, i colombi, la nostra antica terra.
Con esperte nutrici e vecchi partigiani
Perché mai questa tristezza di bestia selvaggia
Sul volto il riverbero d’acqua tremante
E perché mai venirti vicino
Se non voglio l’amore ma il vento
Se dell’alto mare aperto voglio il galoppo
E di te nessuno sapeva niente
Di te né il dittamo né il fungo
Sulle alture di Creta niente
Solo per te Dio accettò di guidarmi la mano
Più vicino, più lontano, con cura su tutto l’arco
Della sponda del volto, i seni, i capelli
Fluttuanti a sinistra sul colle
Il tuo corpo nella posizione del pino solitario
Occhi di fierezza e di trasparenti profondità
Dentro la casa con la vecchia credenza
I gialli merletti e il legno di cipresso
Da solo ad aspettare la tua prima apparizione
In alto nella loggia o dietro sul lastricato del cortile
Con il cavallo del Santo e l’uovo della Resurrezione
Come uscita da un affresco in rovina
Grande quanto ti volle la breve vita
Per contenere nel piccolo cero lo stentoreo bagliore del vulcano
Di te nessuno ha visto né sentito
Niente di te nelle case distrutte o nei deserti
Neppure l’avo sepolto lungo il muro di cinta
Di te neppure la vecchia con tutte le sue erbe
Di te soltanto io, forse, e la musica
che da me scaccio ma sempre più forte ritorna
Di te del tuo seno acerbo di dodicenne
Proteso sul futuro con il rosso cratere
Di te l’odore amaro che come uno spillo
Penetra nel corpo e punge il ricordo
Ed ecco i campi, i colombi, la nostra antica terra.
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