da Nel giardino del
diavolo - Stewart Lee Allen
(…)
Avvolta
da odore soave
Per anni, dopo la mia esperienza natalizia sul Monte Athos,
meditai su quanto aveva affermato il vecchio eremita, e cioè che
l’identificazione della mela come frutto proibito fosse tutta “un’invenzione
del papa”. Sapevo, naturalmente, che la chiesa greco-ortodossa e quella
cattolica romana erano in conflitto da quasi mille anni, perciò la sua osservazione
poteva essere un attacco proditorio a un antico rivale. Ma un’altra possibile spiegazione
si può trovare nella topografia dell’Europa precristiana. A quell’epoca il
Vecchio Mondo si divideva più o meno in due gruppi umani: a sud delle Alpi viveva
una popolazione mediterranea, di carnagione scura, che, tra le altre attività,
coltivava e apprezzava il frutto della vigna. Adorava, sarebbe il caso di dire,
poiché l’uva procurava una bevanda inebriante, il vino, che rappresentava un
mistico viatico in tutti i riti, da quello pagano di Dioniso fino al più
recente culto della chiesa cattolica romana. A nord di questo confine naturale vivevano
varie tribù barbariche, tra le quali i celti. Poiché la vigna non attecchiva
dalle loro parti a causa del clima avverso, essi veneravano la mela. Al posto
del vino, i loro sacerdoti, druidi, usavano durante le cerimonie religiose il
sidro, una bevanda alcolica fatta con le mele. Non a caso battezzarono il loro
paradiso Avalon, o Isola delle mele, dove sicuramente non mancava, in bella
vista, una pressa da sidro.
Le popolazioni mediterranee dionisiache fusero le loro credenze
con quelle del cristianesimo per formare la chiesa di Roma. I celti fecero lo
stesso con la fede druidica e crearono un altro tipo di cristianesimo, che si
chiamò chiesa celtica. Inutile dire che i due gruppi si detestavano con tutta
l’anima. I monaci celti si rifiutavano di mangiare o di pregare con i sacerdoti
romani, e ritenevano infetti gli utensili usati da questi ultimi.
La chiesa di Roma, dal canto suo, condannò come eretici i
riti celti e minacciò di giustiziare i missionari celti che nel frattempo
cominciavano a diffondere il loro verbo nell’Europa occidentale. Sul finire del
IV secolo la situazione stava precipitando e il mondo cristiano si stava
spaccando in due.
Come per incanto, sull’albero della conoscenza proibita cominciarono
a spuntare le mele.
Una mela, tra quelle sull’albero fatale,
Avvolta da odore soave, si propose
Con sospiro insinuante, e si offrì a Eva.
L’episodio del primo morso peccaminoso di Eva fu descritto dal
poeta romano Avito intorno al 470 d.C., all’apice, più o meno, del conflitto
romano-celtico. Il fatto che la chiesa di Roma avesse scelto quel particolare
momento per enfatizzare tutte le componenti malefiche del frutto caro ai celti
poteva essere dovuto a una semplice coincidenza, ma la scelta fu meno casuale
di quanto si pensi. Innanzitutto le Sacre Scritture identificavano nel fico e
non nella mela il frutto proibito. Inoltre la chiesa romana aveva creato di sana
pianta il termine adottato da Avito per indicare tale frutto. Il termine è pomum,
che deriva da Pomona, la dea pagana dei frutti, degli orti e dei giardini. Ci
si sarebbe potuti attenere alla parola malum usata nelle prime Bibbie
redatte in greco, che vuol dire sia male che frutto. Quale
termine migliore? Perché cambiarlo? Probabilmente non lo sapremo mai, ma
battezzando il frutto proibito con un nome di derivazione pagana si voleva
ricordare emblematicamente ai nuovi cristiani che le precedenti religioni, non
cristiane, equivalevano alla conoscenza proibita, cioè all’eresia.
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