Pippo Rizzo - Carabinieri, 1957
da Il giorno della civetta – Leonardo Sciascia
«Gli uffici fiscali, a quanto vedo, non sono la sua preoccupazione».
«Non mi preoccupo mai di niente» disse don Mariano.
«E come mai?».
«Sono un ignorante; ma due o tre cose che so, mi bastano: la prima è che sotto il naso abbiamo la bocca: per mangiare più che per parlare…».
«Ho la bocca anch’io, sotto il naso» disse il capitano «ma le assicuro che mangio soltanto quello che voi siciliani chiamate il pane del governo».
«Lo so: ma lei è un uomo».
«E il brigadiere?» domandò ironicamente il capitano indicando il brigadiere D’Antona.
«Non lo so» disse don Mariano squadrando il brigadiere con molesta, per il brigadiere, attenzione.
«Io» proseguì poi don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…».
«Anche lei» disse il capitano con una certa emozione. E nel disagio che subito sentì di quel saluto delle armi scambiato con un capo mafia, a giustificazione pensò di avere stretto le mani, nel clamore di una festa della nazione, e come rappresentanti della nazione circonfusi di trombe e bandiere, al ministro Mancuso e all’onorevole Livigni: sui quali don Mariano aveva davvero il vantaggio di essere un uomo. Al di là della morale e della legge, al di là della pietà, era una massa irredenta di energia umana, una massa di solitudine, una cieca e tragica volontà: e come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro ed informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani. E quale altra nozione poteva avere del mondo, se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?
«Perché sono un uomo: e non un mezz’uomo o addirittura un quaquaraquà?» domandò con esasperata durezza.
«Perché» disse don Mariano «da questo posto dove lei si trova è facile mettere il piede sulla faccia di un uomo: e lei invece ha rispetto… Da persone che stanno dove sta lei, dove sta il brigadiere, molti anni addietro io ho avuto offesa peggiore della morte: un ufficiale come lei mi ha schiaffeggiato; e giù, nelle camere di sicurezza, un maresciallo mi appoggiava la brace del suo sigaro alla pianta dei piedi, e rideva… E io dico: si può più dormire quando si è stati offesi così?».
«Io dunque non la offendo?».
«No: lei è un uomo» affermò ancora don Mariano.
«E le pare cosa da uomo ammazzare o fare ammazzare un altro uomo?».
«Io non ho mai fatto niente di simile. Ma se lei mi domanda, a passatempo, per discorrere di cose della vita, se è giusto togliere la vita a un uomo, io dico: prima bisogna vedere se è un uomo…».
«Dibella era un uomo?».
«Era un quaquaraquà» disse con disprezzo don Mariano: si era lasciato andare, e le parole non sono come i cani cui si può fischiare a richiamarli.
«E lei aveva particolari motivi per classificarlo così?».
«Nessun motivo: lo conoscevo appena».
«Eppure il suo giudizio è esatto: e ci devono essere gli elementi di base… Forse lei sapeva che era una spia, un confidente dei carabinieri…».
«Non me ne curavo».
«Ma lo sapeva…».
«Lo sapeva tutto il paese».
«Le nostre segrete fonti di informazioni…» disse con ironia il capitano, voltandosi a guardare il brigadiere. E a don Mariano «E forse Dibella rendeva qualche servizio agli amici passando a noi determinate confidenze… Lei che ne dice?».
«Non lo so».
«Ma almeno per una volta, una diecina di giorni addietro, Dibella si è lasciato sfuggire una informazione giusta: in questo ufficio, seduto dove è seduto lei… Lei come ha fatto a saperlo?».
«Non l’ho saputo: e a saperlo non ne avrei avuto né caldo né freddo».
«Forse il Dibella è venuto da lei a confessare l’errore, agitato dal rimorso…».
«Era persona da sentire paura, non da sentire rimorso: e non c’era ragione perché venisse da me».
«E lei, è uomo da sentire rimorso?».
«Né rimorso né paura; mai».
«Gli uffici fiscali, a quanto vedo, non sono la sua preoccupazione».
«Non mi preoccupo mai di niente» disse don Mariano.
«E come mai?».
«Sono un ignorante; ma due o tre cose che so, mi bastano: la prima è che sotto il naso abbiamo la bocca: per mangiare più che per parlare…».
«Ho la bocca anch’io, sotto il naso» disse il capitano «ma le assicuro che mangio soltanto quello che voi siciliani chiamate il pane del governo».
«Lo so: ma lei è un uomo».
«E il brigadiere?» domandò ironicamente il capitano indicando il brigadiere D’Antona.
«Non lo so» disse don Mariano squadrando il brigadiere con molesta, per il brigadiere, attenzione.
«Io» proseguì poi don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…».
«Anche lei» disse il capitano con una certa emozione. E nel disagio che subito sentì di quel saluto delle armi scambiato con un capo mafia, a giustificazione pensò di avere stretto le mani, nel clamore di una festa della nazione, e come rappresentanti della nazione circonfusi di trombe e bandiere, al ministro Mancuso e all’onorevole Livigni: sui quali don Mariano aveva davvero il vantaggio di essere un uomo. Al di là della morale e della legge, al di là della pietà, era una massa irredenta di energia umana, una massa di solitudine, una cieca e tragica volontà: e come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro ed informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani. E quale altra nozione poteva avere del mondo, se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?
«Perché sono un uomo: e non un mezz’uomo o addirittura un quaquaraquà?» domandò con esasperata durezza.
«Perché» disse don Mariano «da questo posto dove lei si trova è facile mettere il piede sulla faccia di un uomo: e lei invece ha rispetto… Da persone che stanno dove sta lei, dove sta il brigadiere, molti anni addietro io ho avuto offesa peggiore della morte: un ufficiale come lei mi ha schiaffeggiato; e giù, nelle camere di sicurezza, un maresciallo mi appoggiava la brace del suo sigaro alla pianta dei piedi, e rideva… E io dico: si può più dormire quando si è stati offesi così?».
«Io dunque non la offendo?».
«No: lei è un uomo» affermò ancora don Mariano.
«E le pare cosa da uomo ammazzare o fare ammazzare un altro uomo?».
«Io non ho mai fatto niente di simile. Ma se lei mi domanda, a passatempo, per discorrere di cose della vita, se è giusto togliere la vita a un uomo, io dico: prima bisogna vedere se è un uomo…».
«Dibella era un uomo?».
«Era un quaquaraquà» disse con disprezzo don Mariano: si era lasciato andare, e le parole non sono come i cani cui si può fischiare a richiamarli.
«E lei aveva particolari motivi per classificarlo così?».
«Nessun motivo: lo conoscevo appena».
«Eppure il suo giudizio è esatto: e ci devono essere gli elementi di base… Forse lei sapeva che era una spia, un confidente dei carabinieri…».
«Non me ne curavo».
«Ma lo sapeva…».
«Lo sapeva tutto il paese».
«Le nostre segrete fonti di informazioni…» disse con ironia il capitano, voltandosi a guardare il brigadiere. E a don Mariano «E forse Dibella rendeva qualche servizio agli amici passando a noi determinate confidenze… Lei che ne dice?».
«Non lo so».
«Ma almeno per una volta, una diecina di giorni addietro, Dibella si è lasciato sfuggire una informazione giusta: in questo ufficio, seduto dove è seduto lei… Lei come ha fatto a saperlo?».
«Non l’ho saputo: e a saperlo non ne avrei avuto né caldo né freddo».
«Forse il Dibella è venuto da lei a confessare l’errore, agitato dal rimorso…».
«Era persona da sentire paura, non da sentire rimorso: e non c’era ragione perché venisse da me».
«E lei, è uomo da sentire rimorso?».
«Né rimorso né paura; mai».
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