1 agosto 2018

Le attese – Alexandra Zambà

Le attese – Alexandra Zambà

1.
Allontanatevi

dal cancello verde bottiglia
sgangherato cigolante
chiuso con la catena arrugginita
grande rimorso di lucchetto prepotente

la sciate la casa alle spalle aperta

Legatemi,
dieci mandate salda sulla stecca di centro
stretta sulla strada
allo scoperto del sole e dei venti

Inchiodatemi,
in piedi sul selciato d’ingresso
sotto il pino d’Aleppo
la curva ubriaca di gelsomino

Fermatemi,
la testa con lino di enigmatica sposa
di ginestra ruvida

Lasciatemi,
udire le albe
l’abbaglio dei tramonti
mormorii di onde

materni strazi
su rocce, costate di monti
lasciatemi senza pietà
scoprire sola la strada
ed il suo passaggio

per starmi sempre vicino
allontanatevi

2.
La mia voce rimbomba nei polmoni
scorre e va lungo gli stipiti del dolore

ti chiamo anima mia, dove sei?

È maggio la nebbia mattutina offusca e bagna
la tua finestra, cuore mio, ha i vetri rotti
torpore sugli alberi

la scala di legno serpeggia sul muro traballante

il vocabolario è povero privo di sottigliezze
mi serve una parola, anima mia, che passa dal greco

una di quelle appese dalle travi del soffitto e aspettano

dal gancio di centro, cuore mio, dondolante aspetta
il tuo, anima mia, difficile ritorno

3.
La gioia era sabbia

tritumi granelli duri
lasciati liberi girovagare in basso
senza addensare il salto ed il volo

– sgomenti riflessi –

il cuore arroccato, la pioggia scoscesa
sbriciolata la roccia
scandiva la discesa di sabbia

4.
Apparsa all’improvviso

erma di un viso serio su busto silenzioso
segnava il crocicchio

– buco nero non mandava le vie, le ingoiava tutte –

Quel giorno peregrino stesa sulle foglie
sentii il brivido della vita fremere sulla schiena
spingeva in alto
grossa gemma sotterranea

– ignara del gelo inodore dell’inverno –

5.
Il mare era Ionio

I cieli suonati a raccolta
voltavano i grigi allora in blu,
il mare era Ionio

Tutt’intorno un increspare di dolce pane
– stendevano l’aria i gabbiani –

Assorto tu sulla prua annusavi la terra d’isola
il viso s’allungava tutto sul mare di allora
e
gli occhi trasognati rubavano la luce funambola
la luce di allora

6.
Sospinti alla rinfusa
scendono le scale sperduti
domande compresse nei fagotti

Nel sotterraneo ora aspettano stipati
– solo orecchie –

muti fuggiaschi, sciolti capelli
sparsi di cenere

– hanno sentito ormai il passo delle Erinni -

7.
Buzzo
per schiodare una vite fuori posto

– tentenno mi sostengo sul muro –

non ha scelto certo di marcire nell’ombra il muro
tenère radici nell’odore del muschio
sentire slittare il giorno sempre più in là

e non so come in fretta radicò tra le rose
e s’attorcigliò sul pino d’Aleppo, la vite

– e non chiedeva acqua -

8.
La lontananza

Eremo temuto la lontananza
sfiora l’orizzonte siderea
sfuma nel cielo denso di ombre, dolore

ll sangue versa salmastro nel silenzio e
alga impigliata la voce risuona assenze
filiforme resta ferma pressata in gabbia

Esule in capo al mondo la lontananza
lamenta afona discorsi incomprensibili

Avanza parola isolata in un glossario

9.
Non mi guardasti e alzai la voce
Incollai l’orecchio allo specchio
fermai
l’uscita di spalle rette spavalde

Rimase d’allora tua immagine
tra risa e pianti e timbri lontani

10.
Il cielo sul finire sbandierava
misto mare salsedine e brezza

Sfumava incagliata sulla spiaggia lontana
fumosa ed immobile
l’immagine di un altro mare lupino viola

Piegarla in valigia non era intenzionale
ma il tempo indugiava e la fuga governava l’animo

Un altro po’ – pensavo avvolta nel turbante –

lasciate portare con me che vado non so dove
l’angolo a sinistra del cielo libero in alto mare

foglie-voglie al ritmo delle onde…

11.
Mi dormiva accanto sconosciuta
stanco cappotto vecchio capelli infeltriti

senza occhi il capo pesava macigno sul fianco
trasportava i sogni nella pelle di un sacco

ripeteva le curve
nel sussulto di un vissuto perdente

Arresa alle rotaie del viaggio mio e suo
non immaginava resistenza alcuna

andavano
nuca dorso ginocchia al ritmo
din-don, din-don

12.
Attesa interminabile, non un ricordo

solo un filo srotolato logoro
una silenziosa ripida soglia persa nell’ombra
e la pianura senza margini

Passavano al momento tirate gonfie
un filo di nuvole appese, tenute salde
e le frange con i loro andirivieni
schioccavano il tempo
meditavano l’attesa raccolta nei secoli

contavano tutto quel che era andato smarrito
in una manciata di immagini legate ingenue ai sogni erranti
volavano girovaghe nei corridoi pettegoli di cieli senza tetto

Sulla curva pertica sbattevano forte il sole e la luna,
dall’alto inquadravano
– certi cortili di mite chiacchiericcio – una scala mobile
in un gomitolo rubato che scarso si torceva in basso

Smarrito ogni dubbio mutai nel nascondiglio
e silenziosa scivolai ad attraversare il tempo
solo sostegno il filo d’Arianna

13.
Vino di gioia

ci sono emozioni amico mio
che merlano lo sguardo
tremolii di lucciole
battono di gioia

E le palpebre
hai fatto caso amico mio
come si socchiudono ubriache
si arrendono al vino di gioia!

14.
Allora il bosco era la traversata
le notti palpiti senza respiro

io attraversavo silenziose parole sdrucciole
tu riempivi i miei capelli di lucciole

15.
Tra parole terrose
una voce notturna
lamenta la vita

insiste sui vetri piombati

Apro la mia finestra
il cortile cade ferito
boccheggia senza risposte

da Planare lo sguardo - La vita Felice Edizioni, 2015. Milano

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