1 giugno 2018

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

dipinto di Eric Bowman
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
460.

Trovo finalmente quiete. Tutto ciò che è stato memoria e dispersione sparisce dall’anima come se non fosse mai esistito. Resto solo e calmo. Il momento che sto vivendo è come quello in cui ci si converte a una religione. Nulla però mi attrae verso l’alto, sebbene ormai nulla mi trattenga in basso. Mi sento liberato, come se cessassi di esistere conservandone la coscienza. Trovo quiete, sì, quiete. Una grande calma, soave come una cosa inutile, scende nel fondo del mio essere. Le pagine lette, i doveri compiuti, le tappe e i casi della vita – tutto è divenuto una vaga penombra, un alone appena visibile, che circonda qualcosa di tranquillo che non riesco a delineare. La fatica, che talvolta ho compiuto per dimenticare l’anima, il pensiero, che talvolta ho elaborato per dimenticare l’agire – entrambi si tramutano in una specie di tenerezza priva di sentimento, una compassione logora e vuota. Non è questa giornata pigra e soave, nuvolosa e mite. Non è la brezza imperfetta, quasi nulla, poco più dell’aria che si muove. Non è il colore anonimo del cielo qua e là pallidamente azzurro. No. No, perché non provo nulla. Guardo involontariamente e senza speranza. Assisto attento a uno spettacolo che non c’è. Non sento l’anima, ma solo quiete. Le cose esterne, nitide e immobili, anche quelle che si muovono, sono per me quello che deve essere stato il mondo per Cristo quando, dall’alto di tutto, Satana lo ha sottoposto a tentazione. Sono nulla, e comprendo come Cristo non si sia lasciato tentare. Sono nulla, e non capisco come Satana, vecchio di tanta scienza, si illudesse in quel modo di tentarlo. Scorri leggera, vita che non si sente, ruscello in silenzioso movimento sotto alberi dimenticati! Scorri mansueta, anima che non si conosce, mormorio invisibile oltre i grandi rami caduti! Scorri inutile, scorri senza una ragione, consapevolezza di non esser consapevole di niente, vago bagliore in lontananza, fra radure di foglie, che non si sa da dove viene né da che parte va! Scorri, scorri, e lasciami dimenticare! Vago soffio di ciò che non oso vivere, languido sospiro di ciò che non ho potuto sentire, sussurro inutile di ciò che non ho voluto pensare, vai lento, vai pigro, vai nei vortici che ti aspettano e per i declivi che ti si presentano, vai verso l’ombra o verso la luce, fratello del mondo, vai verso la gloria o verso l’abisso, figlio del Caos e della Notte, ricordando sempre, in qualche tuo angolo remoto, che gli Dèi sono venuti dopo, e che anche gli Dèi passano.

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