15 giugno 2018

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa
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Cotognette

- mele cotogne kg1
- zucchero gra 600
- succo di un limone
- zucchero a velo
- l’albume di un uovo
- una stecca di cannella

Cuocere le mele cotogne intere e con la buccia, quindi sbucciarle e passarle. Asciugare la polpa a bagnomaria. Versare un po’ d’acqua nello zucchero, metterlo sul fuoco e lasciarlo sciogliere fini a quando avrà preso un colore dorato. Quindi unirlo alla polpa di mele, aggiungere il succo di un limone e cuocere in un tegame a fuoco dolce.
Versare poi il tutto su un piano di marmo, stendere con una spatola e ottenere uno strato sottile. Tagliare in piccoli quadrati di 2x2 cm. Conservare in un ambiente fresco e asciutto per due giorni.

Rivestimento esterno
Alcuni giorni prima della preparazione delle cotognette, aggiungere allo zucchero a velo una stecca di cannella per aromatizzarlo.
Al momento della glassatura mescolarlo in una terrina con l’albume e il succo di limone filtrato. Sbattere con una frusta elettrica fino a ottenere un composto liscio e senza grumi, con il quale coprire le cotognette.

A casa, seduta in cucina, ragiono sul mio futuro. La preoccupazione più forte è quella dei soldi. Oggi è San Giuseppe verso la fine del mese il conto in banca è quasi vuoto, come al solito. Il mutuo della casa è a nome mio e Dio solo sa come farò a pagarlo; le bambine sono piccole e richiedono ancora molte cure. Era Gaetano a occuparsi delle spese. Io ho fatto sempre la moglie e la madre. Vero è che avrei potuto lavorare e portare uno stipendio pure io, perché ho studiato, che mio padre, pescatore ignorante, una vita di stenti e fatiche, voleva per i suoi figli tutto quello che non aveva avuto lui. Ma poi Gaetano, figlio unico, viziato come a un piccolo Budda, la moglie fuori casa ci dava fastidio, così ho rinunciato a qualunque professione. Quando avevo gana di fare quaccheccosa, tanto per non passare la giornata con una mappina nelle mani, lui, preoccupato, mi diceva: “Ancilù e che cosa ti manca? Che deve dire la gente che l’ingegnere soldi a casa non ne porta?”. E così mi tappava la bocca e mi legava le mani. Incaprettata ero, anzi attapanata! Di nuovo questa intraducibile parola che mi gira nella testa, una specie di canzone triste che mi arrivota nel cervello. Mi sollevo dalla sedia lentamente, con i muscoli che mi fanno male e le spalle curve, quasi a pararmi da altri dolori.
Mi guardo allo specchio del bagno, praticamente una vecchia. Gli occhi affondati dentro a due pozze nere, la pelle arrossata dalle dita che mi passo continuamente sul viso, la bocca un pirtuso, circondata da dei labbra gonfie, le vene del collo tirate. Mi sciacquo. Il contatto con l’acqua fresca non mi rasserena. Le lagrime se ne scendono da sole.
Giro per le stanze e provo a fare un poco di ordine per calmarmi: conzo i letti, sistemo la biancheria negli armadi.
Quasi riempio una pentola d’acqua e la metto sul fuoco. Cucinare è una cosa che mi rilassa, mi svacanta l’anima, mi calma il cuore e il respiro; come quando la sera mi dico il rosario, in ginocchio sul cuscino, lo sguardo fisso alla luce di una candela, non penso più a niente e dopo mi sento bene. Metto a cuocere le mele cotogne che ho raccolto ieri nel mio giardino, così tengo la testa al suo posto e faccio contente le mie figlie. Già le picciridde, tra poco saranno a casa e io quaccheccosa ce la devo raccontare.
Preparo la glassa, sbatto lo zucchero e quando è bello morbido e vaporoso come il velo di una sposa lo copro con una plastichino e lo lascio a riposare.
Non so come affrontare il discorso. Penso che la cosa giusta sarebbe rassicurarle, vorrei che non soffrissero, che non fossero segnate dall’assenza del padre, ma i nervi non mi reggono e ho timore di scatasciare.
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