da Sotto la pelle – Michel Faber
(…)
Cercò di proiettarsi avanti nel tempo,
immaginandosi parcheggiata da qualche parte con un bel pezzo di autopista
accanto; sentiva il suo respiro affannoso contro di lui mentre gli aggiustava i
capelli e lo metteva in posizione afferrandolo ai fianchi.
Non era una fantasia abbastanza potente da
impedirle di abbassare le palpebre.
Proprio mentre Isseley si stava per mettere
alla ricerca di un posticino in cui fermarsi a sonnecchiare per un po’, si
stagliò all’orizzonte il profilo di una figura umana. Si riprese
istantaneamente, e si guardò gli occhi, raddrizzandosi gli occhiali. Si
controllò il viso e i capelli nello specchietto. in via sperimentale sporse in avanti
le labbra, color rossetto.
Passando per la prima volta, notò che era un
maschio, abbastanza alto, spalle larghe, abiti sportivi. Teneva alzato sia il
pollice sia l’indice, con una certa fiacchezza, come se stesse l’ ad aspettare
da una vita. O magari, non voleva dar l’impressione di essere troppo
impaziente.
Tornando indietro notò che era abbastanza
giovane, con un taglio di capelli in puro stille da penitenziario scozzese.
Portava vestiti color fango smorto. Riempiva la giacca in modo strabiliante, ma
bisognava vedere se si trattava di grasso odi muscoli.
L’ultima volta che gli si avvicinò Isserley
si accorse che era insolitamente alto. Vide che la fissava, probabilmente si
era reso conto che l’aveva già vista un paio di minuti prima, dal momento che
non c’erano molte auto di passaggio. In ogni caso non le fece cenno con
maggiore urgenza di prima, stese il braccio con fare ugualmente pigro. non era
un tipo che elemosinava.
Rallentò e fermò l’auto proprio di fronte a
lui.
– Salta su, - gli fece.
– Salute, - disse lui sedendosi nel posto
passeggeri.
A Isserley bastò quella semplice parola,
pronunziata senza un sorriso a dispetto dei muscoli facciali coinvolti
nell’espressione, per capire qualcosa di lui. Era quel genere di persona che
aveva bisogno di deviare dal puro ringraziamento, come se la gratitudine fosse
una trappola. nel suo mondo non c’era niente che Isserley potesse fare per
farlo sentire in debito; ogni cosa era semplicemente naturale. Si era fermata
per caricarlo al ciglio della strada; bene. Perché no? Gli stava regalando quel
che un taxi gli avrebbe fatto pagare una fortuna, e di fronte a tutto questo
lui aveva detto “salute”, come se lei fosse una compagna di bevute e gli avesse
fatto un favore da nulla come passargli il posacenere.
– Nessun problema, – rispose Isserley,
immaginando che lui l’avesse ringraziata comunque – Dove sei diretto?
– Verso Sud, – fece lui guardando verso Sud.
Dopo un lungo istante, lui si allacciò con
riluttanza la cintura di sicurezza, consapevole che era l’unico modo per farla
ripartire.
– Verso Sud dove? – domandò lei ripartendo e
dando un colpetto alle frecce e non alle luci o ai tergicristalli o al pulsante
dll’icpathua.
– Be’ … dipende, – rispose lui. – Tu dove sei diretta?
Lei fece un piccolo calcolo mentale, poi lo
guardò in faccia per capire dove immaginava fosse diretta.
– Non ho ancora deciso, – fece lei. – Per
iniziare, direi Inverness.
– Per me Inverness va bene.
– Ma vorresti andare più in là?
– Vado fin dove riesco.
Sullo specchio era comparsa un’altra auto e
Isserley doveva capire che intenzioni aveva; quando si girò di nuovo verso
l’autostoppista era impassibile. Quel che aveva detto era segno di arroganza?
Era un’allusione sessuale? O era soltanto una questione pratica?
– E’ da molto che aspetti? – chiese lei, per
stimolare la sua arguzia.
– Scusa?
Sbatté le palpebre, smettendo di far scorrere
la cerniera della giacca. L’atto di rispondere a una domanda e insieme di
abbassare una lampo era forse più di quello che il suo intelletto poteva
gestire? Sul sopracciglio destro aveva una sottile crosta nera in via di
guarigione – che fosse caduto dopo aver bevuto troppo? I suoi bulbi oculari
erano chiari, si era lavato i capelli in un passato non troppo lontano e non puzzava
neppure – che fosse stupido?
– Lì dove ti ho caricato, – riattaccò
Isserley, – eri l’ da molto?
– Non so, – disse lui. – Non porto
l’orologio.
Gli gettò un’occhiata al polso; era grosso,
con una sottile peluria dorata, e due vene bluastre che gli attraversavano il
dorso delle mani.
– Be’, ti è sembrato di essere stato lì per
molto?
Parve pensarci per un po’.
– Sì.
Sorrise. Non aveva bei denti.
Nel mondo esterno i raggi del sole
s’intensificarono all’improvviso, come se un’agenzia responsabile del loro
funzionamento avesse notato che stavano lavorando a metà della loro potenza. Il
parabrezza si illuminò come una lampada e diffuse lame ultraviolette su
Isserley e sull’autostoppista emanando puro colore senza alcuna traccia di
brezza pungente del mattino. Il riscaldamento era al massimo, così nel giro di
pochi minuti l’autostoppista fu costretto a contorcersi per togliere la giacca.
Isserley lo guardò furtivamente, osservando la meccanica dei suoi bicipiti e
tricipiti, e le spalle che ruotavano. – Posso mettere questa roba dietro? –
chiese infagottando la giacca fra le grandi mani.
– Fa’ pure – rispose lei, notando
l’increspature dei muscoli che si esprimevano sotto il velo della t-shirt
mentre si girava per buttare la giacca sopra quella di lei. Aveva un addome un
po’ grasso – birra, anziché muscoli – ma niente di terribile. Il rigonfiamento
dei jeans era promettente, anche se era probabile si trattasse soprattutto di
testicoli. Finalmente a suo agio, si sistemò comodamente e le mostrò un sorriso
stagionato da una vita intera passata a riempirsi di biada scozzese.
Lei gli restituì il sorriso, chiedendosi se i
denti contassero poi tanto.
Sentiva di dover giungere a una decisione. In
realtà, a essere sinceri, era più vicina a una conclusione, e sentiva il
respiro diventare affannoso.
Si sforzò di prevenire il flusso di
adrenalina in arrivo dalle ghiandole, cercando di inviare a se stessa messaggi
rilassanti, deglutendo. Va bene, d’accordo, lui era a posto: va bene, lo
voleva: ma prima doveva sapere qualcosa su di lui. Doveva evitare a tutti i
costi l’umiliazione di lasciarsi andare, di permettere a se stessa di credere
che sarebbe andato con lei, per poi scoprire che magari aveva una moglie o una
fidanzata a casa ad aspettarlo.
(…)
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