da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen
Il basilico che Alessandro Magno portò in Europa subì una serie di trasformazioni genetiche. La stessa sorte toccò alla storia di Vrinda. Inizialmente scomparvero gli dèi; poi fu eliminato l’episodio del terribile suicidio di Vrinda. Fino alla versione finale, in cui Vrinda diventa una ragazza di nome Lisabetta la quale, non potendo sopportare l’idea di separarsi dal corpo dell’amante morto, ne taglia la testa e la seppellisce in un vaso di basilico. Lisabetta innaffia devotamente la pianta con le sue lacrime fino a morire di crepacuore. La pianta, grazie al nutrimento di questo speciale concime, diventa così grande che la gente viene in pellegrinaggio a visitarla. Si tratta della struttura narrativa – ragazza ama ragazzo/ragazzo viene ucciso/ragazza impazzisce/pianta fa notizia – trasformata a uso e consumo degli europei. Mentre l’attenzione degli indù era tutta incentrata sulla devozione e sull’amore, gli euro-barbari erano maggiormente attratti dalle vicende della decapitazione e della follia. Questa visione morbosa è in sintonia con l’idea
mediterranea del vero amore che, secondo la storica Margaret Visser, “è follia totale, forza incontenibile che travolge le persone e provoca eventi terribili e pericolosi”. Nel suo poema Isabella, il poeta inglese Keats sottolinea questo aspetto, narrando come la testa decapitata dell’amante, in via di decomposizione, desse alla pianta una fragranza particolarmente piacevole.
Indi cresceva folta, e verde e bella
E più fragrante il lezzo che emanava
Delle sue pari, a ciuffi, di Firenze,
Ché dalla testa nutrimento avea
Dell’amante, corrotta, agli occhi ascosa.
Questo collegamento tra basilico e follia portò gli europei a cambiare l’originario nome tulsi in basilicum, in onore del basilisco, l’animale mitico che si riteneva crescesse nel cervello di coloro che annusavano la pianta. Da qui la singolare usanza italiana di “perdere la testa” e di rivolgere ingiurie alla pianta quando se ne staccavano le foglie. Per qualche verso la credenza circa gli effetti sconvolgenti del basilico era fondata.
La lampada a olio che gli indù accendono davanti alla loro piantina rappresenta non solo l’amore imperituro di Vrinda, ma anche il suo corpo che si contorce tra le fiamme sulla pira del marito, un sacrificio d’amore che diede origine all’usanza, chiamata sati, di bruciare vive le mogli assieme ai corpi dei mariti defunti. Ancora oggi si pratica in qualche parte dell’India, non sempre volontariamente. E la tradizione vuole che la moglie muoia con un ramoscello di basilico tra le mani
Il basilico che Alessandro Magno portò in Europa subì una serie di trasformazioni genetiche. La stessa sorte toccò alla storia di Vrinda. Inizialmente scomparvero gli dèi; poi fu eliminato l’episodio del terribile suicidio di Vrinda. Fino alla versione finale, in cui Vrinda diventa una ragazza di nome Lisabetta la quale, non potendo sopportare l’idea di separarsi dal corpo dell’amante morto, ne taglia la testa e la seppellisce in un vaso di basilico. Lisabetta innaffia devotamente la pianta con le sue lacrime fino a morire di crepacuore. La pianta, grazie al nutrimento di questo speciale concime, diventa così grande che la gente viene in pellegrinaggio a visitarla. Si tratta della struttura narrativa – ragazza ama ragazzo/ragazzo viene ucciso/ragazza impazzisce/pianta fa notizia – trasformata a uso e consumo degli europei. Mentre l’attenzione degli indù era tutta incentrata sulla devozione e sull’amore, gli euro-barbari erano maggiormente attratti dalle vicende della decapitazione e della follia. Questa visione morbosa è in sintonia con l’idea
mediterranea del vero amore che, secondo la storica Margaret Visser, “è follia totale, forza incontenibile che travolge le persone e provoca eventi terribili e pericolosi”. Nel suo poema Isabella, il poeta inglese Keats sottolinea questo aspetto, narrando come la testa decapitata dell’amante, in via di decomposizione, desse alla pianta una fragranza particolarmente piacevole.
Indi cresceva folta, e verde e bella
E più fragrante il lezzo che emanava
Delle sue pari, a ciuffi, di Firenze,
Ché dalla testa nutrimento avea
Dell’amante, corrotta, agli occhi ascosa.
Questo collegamento tra basilico e follia portò gli europei a cambiare l’originario nome tulsi in basilicum, in onore del basilisco, l’animale mitico che si riteneva crescesse nel cervello di coloro che annusavano la pianta. Da qui la singolare usanza italiana di “perdere la testa” e di rivolgere ingiurie alla pianta quando se ne staccavano le foglie. Per qualche verso la credenza circa gli effetti sconvolgenti del basilico era fondata.
La lampada a olio che gli indù accendono davanti alla loro piantina rappresenta non solo l’amore imperituro di Vrinda, ma anche il suo corpo che si contorce tra le fiamme sulla pira del marito, un sacrificio d’amore che diede origine all’usanza, chiamata sati, di bruciare vive le mogli assieme ai corpi dei mariti defunti. Ancora oggi si pratica in qualche parte dell’India, non sempre volontariamente. E la tradizione vuole che la moglie muoia con un ramoscello di basilico tra le mani
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