da “Un filo d’olio” - Simonetta Agnello Hornby
Quell’anno, era il 1950, ci fu un intoppo. Il giorno fissato per il trasloco spuntarono, a sorpresa, i parenti di Castelvetrano e li si dovette invitare a pranzo; mamma mandò Francesca in cucina per annunciare a Caterina che non poteva partire perché c’era bisogno di lei e a Filomena che sarebbe andata a Mosè da sola con Paolo. Avvenne l’impensabile: Filomena si rifiutò, e con un tale vucìo da farsi sentire in tutta la casa. Giuliana, con la scusa di farci provare dei grembiulini, si affrettò a portarci nella stanza di Melina, la sarta: era adiacente all’anticucina e da lì avrebbe potuto origliare senza fatica. Filomena pretendeva che Caterina, in quanto vedova, andasse a Mosè al suo posto; l’avrebbe sostituita lei ai fornelli - era «signorina» ed essere vista in automobile accanto a Paolo, loro due da soli, le avrebbe rovinato la reputazione impedendole per sempre di trovare marito. Caterina non ne volle sapere: «Io cuoca sono, non cammarera come a tìa!». In quanto tale le spettava di sistemare il riposto a Mosè, e così avrebbe fatto. Poi, alzando la voce, aggiunse che anche lei aveva una reputazione da salvaguardare - «Non importa se una è viduvedda, schietta o maritata!» - e, se quello che diceva Filomena era vero, andare sola in macchina con don Paolo gliel’avrebbe rovinata. Filomena strillò con quanto fiato aveva in gola che di lei si parlava già assai per certe taliate che scambiava con lo spesarolo; l’altra allora non si trattenne e le rinfacciò quel che tutti sapevano: nonostante gli strenui sforzi della madre, Filomena, vicina ai quarant’anni, scucivola e decisamente non bella, non solo non aveva ricevuto alcuna proposta di matrimonio ma mai ne avrebbe ricevute - era destinata a rimanere schietta, al contrario di sua sorella Francesca, più giovane e mansa, che di proposte ne aveva già avute tante.
Nella foga di zittire Caterina, Filomena, che notoriamente non sapeva cucinare, si lasciò trasportare:
«Sei gelosa perché cucino meggh’i tia che ti fai chiamare “cucinera”!». Caterina rise e la rispustiò per le rime: le disse che era anche perché non sapeva cucinare per niente che non aveva, e non avrebbe mai, trovato marito! Per di più, don Paolo era un padre di famiglia e nei trent’anni di servizio per i baroni Agnello non aveva mai inquietato una fimmina di casa: non avrebbe certo cominciato con lei. Caterina aggiunse che nessuno, vedendoli nella jeep del baronello stracolma di sacchi e sacchiteddi, con crozze per lavare i pavimenti, secchi e manici di scopa sul tetto, avrebbe mai pensato che stessero andando a fare una passeggiata romantica, tantomeno che stessero tentando una fuitina.
«Strafalaria! Non lo capisci che non ti vuole nessuno ?». E così dicendo Caterina sbatté rumorosamente sul tavolo un sacchetto di pistacchi.
Quell’anno, era il 1950, ci fu un intoppo. Il giorno fissato per il trasloco spuntarono, a sorpresa, i parenti di Castelvetrano e li si dovette invitare a pranzo; mamma mandò Francesca in cucina per annunciare a Caterina che non poteva partire perché c’era bisogno di lei e a Filomena che sarebbe andata a Mosè da sola con Paolo. Avvenne l’impensabile: Filomena si rifiutò, e con un tale vucìo da farsi sentire in tutta la casa. Giuliana, con la scusa di farci provare dei grembiulini, si affrettò a portarci nella stanza di Melina, la sarta: era adiacente all’anticucina e da lì avrebbe potuto origliare senza fatica. Filomena pretendeva che Caterina, in quanto vedova, andasse a Mosè al suo posto; l’avrebbe sostituita lei ai fornelli - era «signorina» ed essere vista in automobile accanto a Paolo, loro due da soli, le avrebbe rovinato la reputazione impedendole per sempre di trovare marito. Caterina non ne volle sapere: «Io cuoca sono, non cammarera come a tìa!». In quanto tale le spettava di sistemare il riposto a Mosè, e così avrebbe fatto. Poi, alzando la voce, aggiunse che anche lei aveva una reputazione da salvaguardare - «Non importa se una è viduvedda, schietta o maritata!» - e, se quello che diceva Filomena era vero, andare sola in macchina con don Paolo gliel’avrebbe rovinata. Filomena strillò con quanto fiato aveva in gola che di lei si parlava già assai per certe taliate che scambiava con lo spesarolo; l’altra allora non si trattenne e le rinfacciò quel che tutti sapevano: nonostante gli strenui sforzi della madre, Filomena, vicina ai quarant’anni, scucivola e decisamente non bella, non solo non aveva ricevuto alcuna proposta di matrimonio ma mai ne avrebbe ricevute - era destinata a rimanere schietta, al contrario di sua sorella Francesca, più giovane e mansa, che di proposte ne aveva già avute tante.
Nella foga di zittire Caterina, Filomena, che notoriamente non sapeva cucinare, si lasciò trasportare:
«Sei gelosa perché cucino meggh’i tia che ti fai chiamare “cucinera”!». Caterina rise e la rispustiò per le rime: le disse che era anche perché non sapeva cucinare per niente che non aveva, e non avrebbe mai, trovato marito! Per di più, don Paolo era un padre di famiglia e nei trent’anni di servizio per i baroni Agnello non aveva mai inquietato una fimmina di casa: non avrebbe certo cominciato con lei. Caterina aggiunse che nessuno, vedendoli nella jeep del baronello stracolma di sacchi e sacchiteddi, con crozze per lavare i pavimenti, secchi e manici di scopa sul tetto, avrebbe mai pensato che stessero andando a fare una passeggiata romantica, tantomeno che stessero tentando una fuitina.
«Strafalaria! Non lo capisci che non ti vuole nessuno ?». E così dicendo Caterina sbatté rumorosamente sul tavolo un sacchetto di pistacchi.
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