George Fredric Watts - Orpheus and Eurydice
Seconda Elegia – Rainer Maria RilkeOgni angelo è tremendo. E tuttavia, è a voi
che devo cantare, quasi mortali uccelli dell'anima,
sapendo di voi. Dove sono andati i giorni di Tobia,
quando il più sfolgorante si fermò sulla semplice porta
vestito come da viaggio, già non più formidabile;
(giovane a giovane, come lo adocchiò curioso).
Se ora l'arcangelo, quello pericoloso, da dietro le stelle
facesse anche un sol passo in giù, verso di noi: di colpo
il nostro stesso cuore ci annienterebbe. Chi siete?
Felici primizie, prediletti del creato,
montagne, creste aurorali
di tutte le creazioni -, polline della divinità in fiore,
anelli di luce, vestiboli, scalinate, troni,
spazi di essenza, scudi di delizia, tumulti
di sensazioni tempestosamente incantevoli e di colpo,
singolarmente,
specchi: che ricreano nei loro volti
la propria sfavillante bellezza.
Perché per noi sentire è consumarsi; si,
ci svuotiamo col nostro stesso respiro; da brace a brace
mandiamo fragranza sempre più debole. Qualcuno
può ben dirci: sì, tu mi rimescoli il sangue, questa stanza,
la primavera,
è piena di te... A che serve, non è capace di tenerci,
veniamo meno in lui e attorno a lui. E coloro
in cui splende la bellezza, chi li trattiene? Incessantemente
l'apparenza si mostra sui loro volti e scompare. Come rugiada
dall'erba appena nata, ciò che è nostro si dilegua da noi,
come il calore
da una pietanza calda. Verso dove il sorriso? E lo sguardo
levato:
onda nuova, calda, che sfugge dal cuore -;
eppure, questo siamo. Ma allora, lo spazio del cosmo
in cui ci dissolviamo, sa ancora di noi? Forse che gli angeli
veramente
raccolgono solo ciò che è loro, ciò che da loro è scaturito,
o c'è, qualche volta, come per sbaglio, anche un po'
della nostra assenza, malgrado tutto? Siamo forse solo
mescolati
nei loro tratti come quel senso di vago nei volti
delle donne incinte? Loro non se ne accorgono nemmeno
nel turbinio
del loro ritorno a se stessi. ( E come dovrebbero
accorgersene.)
Gli innamorati potrebbero, se lo capissero, dire cose
straordinarie
nell'aria della notte. Perché è come se tutto
ci tenesse nascosti. Vedi, gli alberi sono; le case
che abitiamo rimangono. Solo noi
passiamo per ogni dove come un soffio.
E tutto congiura nel mantenere il silenzio su di noi, un po'
per vergogna forse e un po' per indicibile speranza.
Innamorati, voi che vi bastate l'un l'altro,
è a voi che chiedo di noi. Voi vi afferrate. Avete prove?
Vedi, capita che le mie mani non si accorgano
l'una dell'altra o che la mia faccia stanca
vi trovi rifugio. In questo un poco mi ritrovo.
Eppure chi oserebbe, solo per questo, essere?
Ma voi, che crescete l'uno nell'appagamento
dell'altro, finché sopraffatto
v'implora: non più -; voi che vi impreziosite
sotto le mani come vino stagionato;
voi che talvolta soccombete, solo perché l'altro
prende il sopravvento: è a voi che chiedo di noi. Lo so,
voi vi toccate con tale beatitudine, perché la carezza contiene,
perché dove vi coprite con tanta tenerezza non vi sentite
mancare;
perché al di là percepite
la pura durata. E così vi promettete eternità
quasi dall'abbraccio. Eppure, quando superate lo sgomento
dei primi sguardi, e lo struggimento alla finestra,
e quel primo andare insieme, una volta, attraverso il giardino:
innamorati, lo siete ancora? Quando vi levate
uno alla bocca dell'altro e incominciate -: sorso dopo sorso:
ah come sfugge stranamente all'atto allora chi beve.
Non vi ha stupito nelle stele di Attica la cautela
del gesto umano? Non erano forse amore e commiato
posti su quelle spalle così leggermente, come se fossero fatti
di una sostanza diversa dalla nostra? Pensate alle mani,
come si posano senza peso, benché forza risieda nei torsi.
Padroni di se stessi, costoro quindi sapevano: fin qui lo siamo,
questo ci appartiene, toccarci così; gli dèi
si appoggiano a noi con più forza. Ma questa è faccenda
degli dèi.
Potessimo anche noi trovare un umano puro, scarno,
limitato, un nostro ritaglio di terra da frutto
tra roccia e corrente. Perché il nostro cuore trascende
tuttora noi come loro. E non lo possiamo più seguire
con lo sguardo in immagini che lo plachino, né
in corpi divini, nei quali più grande si temperi.
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